Nota di lettura a LE CASE CON GLI OCCHI VERDI, di Rosanna Frattaruolo (Salvatore Contessini)

Nota di lettura a LE CASE CON GLI OCCHI VERDI, di Rosanna Frattaruolo (Babbomorto ed. 2021)

Queste case con gli occhi sono forse quelle abbandonate prive di infissi che osservano all’esterno l’intorno o sono invece quelle in cui occhi intrusivi di colore verde sbirciano da pertugi inavvertibili? L’immagine di copertina lascia a questa seconda ipotesi il dominio, ma il contenuto della silloge orienta alla prima ipotesi.

Poiché postulate, direi che ambedue le ipotesi sono vere visto che nell’insieme della plaquette emerge quale fil-rouge l’osservazione nella sua più ampia accezione e viene lasciato spazio alla libertà interpretativa. Ne è viatico l’immagine di copertina che nell’iride verde di un occhio, che scruta, specchia la luce di una finestra da cui è possibile traguardare. Duplice osservazione accompagnata da un riflesso di una inafferrabile presenza che inquieta col suo esserci-non esserci. Questa libertà si sostiene con la scelta di rinuncia alla punteggiatura e all’assenza dei titoli. Questi ultimi surrogati da numeri romani declassati nel loro prestigio maiuscolo. Al titolo non viene riconosciuta la significazione, la comprensione profonda dell’opera, la traccia. Non ha più la rassicurante mimesi platonica, ma la spiazzante non referenzialità nei confronti dell’esterno-lettore. All’individuo che legge viene chiesto uno sforzo mentale superiore, l’esercizio di una esplorazione di universi psichici soggettivi che affiorano in moltitudini avvincenti.

Vengono, invece, introdotti una serie di piccoli indizi quali spie di possibili tracce in cui avventurarsi come, per esempio, la presenza di corsivi in quasi tutte le poesie, fuoco di una ellisse in cui Rosanna ci porta a orbitare, omettendo di indicare l’altro centro, che viene lasciato libero, alla mercé di chi lo vuole cercare. E così in ognuno dei componimenti ci orientiamo a cercare il fuoco mancante l’asse principale su cui posizionare il plausibile altro punto geometrico, attorno al quale il peso specifico del lemma consenta la sterzata. Ecco che allora, alla lettura, alcuni vocaboli si offrono con una tensione rivelatrice:
“la rabbia” nel primo testo, “la versione del lupo” nel secondo, “godiamoci” nel terzo, “zanne feroci” nel quinto, “mania” nel settimo, “freno”, “addomesticava”, “amaro” e “dimenticanza” a seguire negli altri.

Tutti, anche quelli non citati (per brevità del concetto) rappresentano locuzioni come sottolineature invisibili che guidano, quali significanti, l’emozione della lettura. Ognuno potrà individuare le sue parole chiave, capaci di generare quella condivisione empatica che accomuna al sentire dell’autrice, ognuno potrà in tal modo attingere al suo universo psichico interpretativo. Cosa dire poi dell’“anomalia indiziaria” nell’interruzione della numerazione progressiva al testo numero dieci e al salto dell’undici fin dopo al numero sedici con chiusura della plaquette? Numero dispari a me caro, l’undici, sempre acceso di significato. Nella sua aggiunta di unità alla completezza del dieci, assume il simbolo della rivelazione dell’iniziativa personale, i toni della dissonanza e della ribellione affacciandosi sul mistero del sé. Una dualità speculare che fa il doppio di se stesso. L’attenzione da parte della Frattaruolo a superare la forma canonica, con l’utilizzo di tali indizi, sembra voler orientare a un’alternativa sfumata, volta a comunicazioni altre. Per questo sono propenso a pensare che il salto numerico in trittico non sia casuale, ma contenga in sé un messaggio subliminale.

Su questa china ho ricavato la percezione di una poesia carnale, intensa, capace di comunicare il sentire corporale del femminino. La sua decisa fisicità altalenante, tra passione verticale e algida scarnificazione raziocinante, desiderio e consapevolezza del riparo intimo in cui è possibile trovare rifugio, ne fa un tratto distintivo che avvince. Un corpo donna che esplode nella sensualità impetuosa senza giri di parole o metafore allusive. Nell’articolazione dei testi si può ricavare una ricorrente dualità contrappositiva, un andare e tornare, uno scendere e salire che con le parole riesce a imitare il riflesso dello specchio con la restituzione di una sembianza invertita di ciò che vi si scorge.
Ecco che si giunge all’immagine in senso lato, alla sua emersione quale primadonna dell’intera raccolta, anche con i continui rimandi alla fotografia, alla visione, alla cattura. Sembra essere, questo, segno distintivo della poetica espressa da Rosanna, sia nella produzione della sequenza versificatoria, che nella realizzazione di un’effigie fotografica. In ambedue i casi la modalità creativa mira a fermare l’attimo ispirativo per scandagliarlo in ogni suo lato e proporlo agli altri. Infine, come tralasciare il tu dialogante col quale si annodano quasi tutti i componimenti; anche qui, presenza- assenza evanescente, ma motore ispirativo che dipana in un soggetto, non necessariamente lo stesso, che consente l’interlocuzione. Ancora un gioco di specchi e immagini riflesse, ritratto di un alter-ego che consente al dialogo tra l’io e il sé di mantenere una linea di galleggiamento capace di impedire l’inabissarsi nel dirupo del dolore. Aspetto quest’ultimo, velato, discretamente sottinteso, ma immancabilmente presente, una sofferenza di vertigine. Un’essenziale versificazione, asciutta, mirata al nucleo della comunicazione emozionale, risolta in soli sedici componimenti che predispongono a nuove letture.

salvatore contessini