Perdonare, si può?

Perdonare, si può? a cura di Lisa Orlando

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Perdonare, si può?; (con indulgenza) riunciare alla rivalsa, esercitarsi alla prodiga dimenticanza, è possibile? No, secondo Simone Weil, poichè quando qualcuno ci ha fatto del male, si creano in noi determinate reazioni. Il desiderio della vendetta è un desiderio di equilibrio essenziale per ogni essere umano. Weil tuttavia esorta a cercare l’equilibrio su di un altro piano: “Bisogna andare da soli fino a quel limite. Là si tocca il vuoto”.

Ma, in fondo, cos’è il perdono? Nel concetto di perdono, Derrida constata una più che evidente contraddizione; e, sembrerebbe, che proprio questa contraddizione lo renderebbe un concetto fondante della società umana: per perdonare infatti è necessaria la comprensione dell’altrui colpa, e dunque che io, ad esempio, mi posizioni nell’esatta situazione dell’altro, che accolga la possibilità che avrei potuto compiere lo stesso errore; in tal caso annullarei l’altro, lo renderei me stesso, riempirei la distanza tra lui e me; tuttavia in questo modo il perdono avrebbe nessuna ragione di esistere.

Invece, il perdono presuppone il mantenimento di tale distanza, e quindi che ci sia l’incomprensione dell’altro; da qui l’impossibilità di perdonarlo. Il perdono è impossibile poiché la distanza tra me e l’altro è irriducibile; mai potrei essere l’altro pur se (non chiusa in me stessa) riuscissi a comprenderlo ai massimi gradi. Pertanto, se si resta tra le cose umane, il perdono non è possibile. E’ necessario uscire dalla logica dello scambio, accettare l’impossibilità del perdono, accettare l’imperdonabile, accettare che si dia perdono solo là dove non si dà commercio, solo là dove il perdono non è richiesto, dove non si prospetta una colpa, e l’eventuale sua assoluzione, o azione punitoria.

Il perdono fonderebbe il processo di costituzione del riconoscimento dell’altro, ne diverebbe la precondizione. «Al principio ci sarà stata la parola “perdono”», dice Derrida. Al principio di ogni stare insieme, deve esserci stato questo modo bello di abitare la terra: la possibilità di riconoscersi. Il desiderio di esistere (nella libertà) appagato dalla grazia del riconoscimento altrui, riconoscimento che mette in luce non solo la componente oblativa del perdono, ma anche l’umana disposizione (originaria) a offrire.

Il perdono è la soglia che tiene insieme la mia distanza con la tua, la possibilità di essere in due, senza assolutizzare tale distanza, la capacità di entrare in relazione con te, e dunque, ancora, la possibilità di essere (in) due. Al principio di ogni rivolgersi all’altro, di ogni parlare e di ogni scrivere, c’è un atto di perdono richiesto e accordato. Lo stesso atto con il quale io scrivo questo testo nel quale implicitamente v’è la somma richiesta: perdonatemi!

Il perdono, percorrendo la via verticale, è la preghiera più alta: l’attesa di una relazione come grazia: la donna sulla soglia, l’uomo sul tappeto, in ginocchio (in ginocchio quale gesto di bellezza non di sottomissione) la donna dice: ti perdono; e il tappeto vola, perché immagino che la terra ove avviene il riconoscimento sia spirituale.

 

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