Approfondimenti
Phaedra in speculo: un personaggio senecano.
A cura di Andrea Schneider
Parte 1/5
Da sempre, nel teatro, la parola ha accompagnato la rappresentazione, dilatandone i confini. Ciò, nel teatro di Seneca, è amplificato, poiché la “parola è il centro dello spettacolo, anzi, essa stessa è spettacolo” [1] che permette di congetturare, immaginare la ricchezza di un personaggio estremamente complesso che si mostra in tutta la sua interezza e poliedricità: Phaedra.
Fedra ha affascinato diversi autori classici e ognuno, a suo modo, ne ha cantato la vicenda, giacchè il mito lo consente [2]. La Fedra senecana si distacca da quelle euripidea, superandola per maggiore introspezione e per evoluzione drammatica.
Nella costruzione dei suoi personaggi, Seneca ha intrapreso tutta la sua vis tragica attraverso l’antitesi furor/virtus su cui poggia la dottrina stoica, conferendo in tal modo ai suoi personaggi numerose sfaccettature che permettono diverse chiavi di lettura e altrettante interpretazioni. In Seneca, i personaggi sono il fulcro del dramma; sono essi che attraversano il genio dell’autore mettendo in moto i meccanismi e gli intrecci della tragedia, perché essi stessi sono il dramma, sono l’azione. Nel caso specifico, infatti, il personaggio di Fedra è centro propulsore di tutto l’omonimo dramma: attorno a esso ruotano tutti gli altri personaggi che sono immagini opposte e speculari della protagonista: la nutrice, Ippolito, Teseo e Fedra stessa a partire dal suo monologo iniziale.
Il primo confronto in speculo, Phaedra contra Phaedram avviene proprio nel suo monologo che, all’interno della struttura di un ‘Affektdrama’, gioca un ruolo determinante. E Seneca lo adotta come “efficacissimo strumento di penetrazione psicologica e artistica” [3], perchè esso permette al personaggio di emergere e caratterizzarsi da e in se stesso e, allo stesso tempo, di contribuire allo sviluppo del dramma. Ancor più che per la monodia di Ippolito, Seneca adotta l’espediente della vox personae per introdurre sulla scena la protagonista. L’analisi interiore e l’attenzione all’evoluzione dell’eroina sono più incisive in lei che in tutti gli altri personaggi. Attraverso una climax, Fedra ricerca all’interno di sé, nel suo io, le radici del suo essere, attua quella che è stata definita la ricerca senecana “dell’uomo nell’uomo” [4].
Sin dai primi versi, Fedra denuncia un sentimento incerto dell’animo, un miscuglio di nostalgia e solitudine, che è reso maggiormente dall’opposizione dei termini dominatrix/obsidem che sottolineano non tanto una condizione reale, quanto psicologica derivata dalla lontananza degli affetti familiari. Nei versi successivi, tale sentimento lascia posto all’ “ironia” sottile e insinuante sulla fides che Teseo è solito prestare alle sue spose, e sull’amicizia e la compagnia che invece dedica a Piritoo. Un’ironia che il contrasto di profugus/abest rende più pungente ed evidente.
Il lamento di Fedra diventa così sempre più esplicito raggiungendo la sua massima valenza in quell’ Hippolyti pater che rappresenta l’explicit di una breve ma incalzante tirata piena di lamenti, e l’incipit di una nuova e sconvolgente confessione che Fedra rivela soprattutto a se stessa. È l’indicibilità e la consapevolezza di ciò che la tormenta che la fa ricorrere a espedienti verbali, che anticipano, quasi a prepararsi il terreno, una difesa su cui innalzare barricate. La regina è in balia del suo tormento che si alimenta e cresce fino a esplodere.
Note:
[1] Cfr D. Lanza, Lo spettacolo della parola. Riflessioni sulla testualità drammatica di Seneca, in Atti dell’ VIII Congresso Internazionale di Studi sul Dramma Antico: Seneca e il teatro, Siracusa 1985, p.465 ss.
[2] Cfr Nadia Fusini, La luminosa. Genealogia di Fedra, 1990, p. 21. “Il mito è per definizione inafferrabile, sempre in trasformazione, per via delle imprevedibili metamorfosi cui si concede”.
[3] E. Paratore, Storia del teatro latino, Milano 1957, p.275 s.
[4] R. Giomini, Saggio sulla Fedra di Seneca, Roma 1955, p. 41.
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