Casagrande

Il nostro del tutto particolare itinerario che prevede una mappatura inedita delle più interessanti realtà editoriali italiane non poteva non fare sosta al di fuori dell’Italia, come nel caso delle edizioni Casagrande, che hanno sede nella Svizzera italiana e che impreziosiscono il loro catalogo, fra gli altri, con nomi quali Agota Kristof e Romain Gary.

La nostra curiosità questa volta si è soffermata su un titolo che va di diritto nella lista dei migliori dell’anno (insieme all’imprescindibile “Io torno sempre sui capezzoli e al punto 7 del Tractatus” di Mallo, edito da Interno Poesia), e che dà voce a una letteratura certamente non molto frequentata dagli editori del nostro Paese, come quella brasiliana.

Si tratta di “L’arte di produrre effetto senza causa”, di Lourenco Mutarelli, romanzo che riesce ad essere del tutto godibile e ideale da leggere durante un fine settimana di vacanza. Mutarelli frequenta ed escogita depistaggi e invenzioni letterarie (diverse ad esempio, quelle grafiche), che seguono il delirio (poco mistico) del protagonista. Quest’ultimo torna a casa del padre dopo aver scoperto un particolare che preferiamo non rivelare, ma anche qui inizia a produrre una serie di eventi minimi che procedono per accumulo e che faranno esplodere la trama. Durante lo svolgimento del racconto aleggia il mito di William Burroughs, e il protagonista viene trascinato in un gorgo esistenziale dove c’è spazio per una psichedelia contaminata dal quotidiano e dal tentativo di superare difficoltà comunicative con membri della famiglia (in particolare il fratello incarcerato), problematiche più o meno sentimentali (il padre condivide casa con una giovane studentessa universitaria) nonché strettamente economiche (trovarsi un nuovo lavoro).

Sul fronte della scrittura in versi segnaliamo invece le 103 quartine di Leopoldo Lonati, dal titolo “Discorso senza un alito di vento”, che incuriosiscono il lettore per il loro essere volutamente indefinite nelle tematiche trattate quanto sono invece definite dal punto di vista formale. Appaiono vaganti come nuvole incerte, fuori dal tempo e dalle mode italiane (quelle del “pubblichiamo poesia che non sia riconoscibile come poesia, ma che al massimo è cabaret o poesia ad altissimo contenuto di umorismo involontario”), e appuntano su carta notazioni su foglie e coleotteri, fiori e polvere. Lonati ricrea una mitologia contemporanea, ma dal sapore antichissimo, da Georgiche virgiliane, ma mantenendo una levità che sarebbe piaciuta a Saba, senza per questo tralasciare una ricerca linguistica e formale che forse è stata ormai dimenticata da un pezzo.

Per chi invece volesse tornare nel bozzolo di una poesia semplicemente arcaica eppure ipermoderna, Poemas de amor, di Alfonsina Storni fa al caso vostro.

Le edizioni Casagrande infatti hanno appena pubblicato, con l’originale spagnolo a fronte e le illustrazioni di Katia Piccinelli, le poesie prettamente d’amore – un amore inteso come sentimento totalizzante eppure sentito con una coscienza di classe e di genere che lo rende a dir poco contemporaneo – della Storni.

Femminista ante litteram, nata in Svizzera ma emigrata ancora bambina in Argentina, Storni fu un’autrice di grande successo di pubblico – un pubblico a dir poco impensabile ai nostri giorni – e questo le costò una certa idiosincrasia da parte di scrittori connazionali quali Borges.

Nelle sue poesie narrava con naturalezza e senza sovrastrutture un sentimento che la rendeva allo stesso tempo potente e prigioniera, libera e ancorata: l’amore è per l’autrice argentina sì totalizzante ma anche capace di provocare indipendenza e orgoglio in colei che lo prova.

La Storni non media, così come in vita (crebbe la propria figlia da sola, e si suicidò entrando in mare organizzando la propria morte dopo una ricaduta del cancro al seno) così nell’uso delle parole di cui si serve: è un albero capace di denudarsi ma poco dopo di mostrare una fioritura estemporanea, sorprendentemente naturale.

 

Di Giuseppe Rizza