Recensioni
Gotenberg a Los Angeles (1)
La cospirazione dei mondiali svedesi
a cura di Guido Michelone
Fonte secondaria fondamentale
La storia del calcio abbonda di documentari soprattutto dall’epoca della neotelevisione, ossia grosso modo dagli anni Ottanta del secolo scorso. Va subito detto che – assieme alle fonti primarie delle riprese per intero delle partite – le interviste, le inchieste, le conferenze stampa, le tavole rotonde, anche i dibattiti più infimi, ossia tutto quanto può risultare ‘documentario’, serve da fonte secondaria fondamentale per narrare, discutere, ricostruire una storia del calcio che fino a pochi decenni or sono si nutre di testimonianze orali più o meno attendibili (le memorie di sportivi, dirigenti, tifosi, esperti) oppure si dirige solo sulle cronache sportive dei quotidiani nazionali.
Darwin Pastorin, tra i massimi giornalisti sportivi, di recente rammenta come sia quasi impossibile spiegare come giochi il miglior Pelé, raccontandolo per immagini semoventi, perché di lui restano pochissime partite registrate (la Tv è in diretta sino ai primi anni Sessanta e di rado viene filmata, tranne significative eccezioni come i Mondiali). La situazione si complica andando indietro negli anni, quando ancora non esistono ad esempio il cinema (1895), il film sonoro (1927), la televisione (1935), il cinemascope (1953), il videotape (1965).
Grazie ai cosiddetti audiovisivi il calcio acquista persino maggior potere mediatico, al punto che oggi, come si sa, le presenze allo stadio sono inferiori agli abbonamenti per l’home video gestito soprattutto da TV a pagamento. Ma l’audiovisivo è utile per riproporre le sequenze agonistiche in ulteriori contesti drammaturgici, dove, nel caso del documentario, gli svariati modelli di messinscena (narrativa, esplicativa, commentativa) dovrebbero corrispondere a criteri di veridicità storica.
È altresì utile sapere che la TV degli ultimi decenni (non a caso detta neotelevisione) ama mescolare i generi, addirittura i macro-generi (informazione, spettacolo, cultura) come nel caso dell’infotainement, del docu-drama, del mockumentary: l’evento viene spettacolarizzato, le immagini documentaristiche si mescolano a quelle finzionali e addirittura, prima ancora della realtà virtuale, le parole e i fotogrammi, secondo vecchi procedimenti, assumono i contorni intenzionali della subdola falsificazione, mescolando filmati d’epoca con finte interviste, incontri pubblici taroccati, dimostrazioni sottilmente inventate, fino alla massima credibilità. È quanto accade con un episodio solo di recente individuato in Italia nel libro Storie e misteri dei Mondiali di Calcio. Le verità non (sempre) raccontate (Diarkos, 2022) di Fabio Licari grazie al capitolo Svezia 1958. The Swedish Witch Project, su cui però si deve, ora, ampliare il discorso.
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