Madame Betti di Renzo Paris

a cura di Paolo Marati

Il ragazzo a vita Renzo Paris, il 29 dicembre scorso, ha compiuto ottant’anni. Ha raggiunto l’età del redde rationem esistenziale. L’età in cui il ricordo degli amici scomparsi si rivela un raccordo dinamico con l’io mutato. E l’io mutato ripercorre il proprio vissuto, le scelte che lo hanno determinato, senza rimpianti, semmai con una curiosità quasi adolescenziale.

Renzo Paris passa in rassegna la propria esistenza evitando di rinchiudersi nella gabbia di una narrazione cronologica, lasciandosi trasportare dal libero svolgersi delle immagini scavate nella memoria. Immagini che, peraltro, l’autore riporta alla luce senza nessun compiacimento, anzi con l’accortezza non filologica di chi sa di essere l’ultimo erede e testimone di un ambiente culturale non più ripetibile non tanto per mancanza di talenti, quanto piuttosto per l’assenza di humus, per il clima di banalità televisiva di stampo berlusconiano che infesta la cultura italiana da inizio anni Ottanta.

Renzo Paris non bara, non si mette da parte. Moravia e Pasolini sono mostrati tramite il filtro della testimonianza diretta. Il primo, Moravia, il più stimato, viene descritto con una spassosa irriverenza: vincitore di partite di ping pong contro un Bernardo Bertolucci bendisposto alla sconfitta, automobilista anarchico e arrogante, anziano in difficoltà davanti a una rampa di scale. Il secondo, Pasolini, con un rispetto timoroso, causato, forse, dalla proverbiale timidezza taciturna, dall’impenetrabilità degli onnipresenti occhiali scuri e dalla ormai leggendaria morte terribile. Ma anche altri protagonisti culturali degli anni Sessanta e Settanta non sfuggono dalla prospettiva soggettiva ma mai bozzettistica di Paris. Si pensi a Bellezza e ad Arbasino, presentati come due poeti che vivono la loro diversità in maniera opposta, il primo con una veracità non di maniera, il secondo con la raffinatezza ciarliera (e narcisistica) del cosmopolita.

In questo contesto, tra i giganti del secondo Novecento (compaiono anche Volponi, Siciliano, Cordelli, Raboni, Maselli, Monicelli, il ventenne Moretti), Laura Betti paradossalmente svetta nella sua ostinata volitività, nell’aggressiva prepotenza di una vedova che non ha mai conosciuto l’intimità di un marito celibe (Pasolini) carnalmente legato a un archetipo materno. E della madre fallica e pupattola bionda Laura Betti, vista sempre da un’angolatura volutamente parziale (e nel finale descritta attraverso delle testimonianze), Paris dona un’immagine vivida di una donna diretta, guidata da una determinazione così ostinata da debordare, più o meno inconsciamente, nel sadismo; di una donna ambiziosa che cela le fragilità in un perenne linguaggio sboccato, talora osceno, ma che dimostra la generosità di dedicare la propria esistenza riabilitando il coniuge-figlio Pasolini sia da un punto di vista umano che artistico (il Fondo Pier Paolo Pasolini).

È sorprendente il risultato di Madame Betti, di questo raffinato gioco della memoria in cui si delinea una vera e propria autobiografia che ingloba il difficile rapporto coniugale dell’autore con Biancospino (Biancamaria Frabotta), la decisione di imborghesirsi mediante la paternità, le performance teatrali anticonformistiche ma ben lontane dall’esibizionismo affettato della Neo Avanguardia, la livida rabbia dei poetastri esclusi nel famigerato Festival Internazionale dei Poeti sulla spiaggia di Castelporziano.

Paris, con Madame Betti (Elliot, pp. 166), riesce ad avvincere il lettore senza stordirlo, anche in virtù di una prosa paratattica, scorrevole, che ingloba tutti gli elementi lessicali senza cercare mai l’effetto di termini leziosamente preziosi.