Approfondimenti
STORIA DEL “LATO B” – perversioni, flagelli, depravazioni collettive!
Ancora culo
L’erotismo cinematografico quando è veramente, profondamente drammatico mi sconquassa, psicologicamente ma anche fisicamente. Mi prende, mi inquieta, resta lì aleggiante a permeare il mio sonno con le solite domande esistenziali abortite dalla nebbia dell’infanzia.
Chi siamo? Dove andiamo? Che senso c’è? C’è nessuno lassù?
Povera me, devo smetterla di piratare film estremi (quelli che in questa casa piacciono solo a me) dopo la mezzanotte quando mio marito e mio figlio trascorrono il weekend dalla nonna. Lo diceva anche la fatina di Cenerentola che dopo la mezzanotte occorre mettersi in pigiama e bersi una tisana.
Nymphomaniac di Lars Von Triers, ad esempio, non è un film che si sposi con le patatine e i pop-corn senza lasciare quel non so che di nauseabondo nell’animo. Nessun film del suddetto regista è fatto per scivolare via, mi direte voi – lettori ben più esperti e cinefili di me – per solleticare soltanto gli strati superficiali del derma. La visione reiterata e ossessiva del culo di Stacy Martin e delle chiappe di Charlotte Gainsbourg, se dapprima può intrigare l’occhio del pubblico, dopo un’ora ci lascia tutti sospesi in una sorta di indifferenza difensiva. In perfetta modalità giudicante e proiettiva, verrebbe da dire quanto segue alla signorina Joe: “Poveretta, se soffri, almeno soffri bene – perché se sei appena un pelo egosintonica, ovvero in sintonia perversa con le azioni che fai, e se ci sbatti in faccia il tuo non godimento nel godere mi riporti – a me, fruitore della pellicola che ti ritrae in moto sessuale perpetuo – alle mie stesse zone d’ombra.” E invece no. Non siamo ignoranti, noi. Non ignoriamo le nostre zone oscure. Verrebbe, allora, forse, da stare zitti. Oppure si potrebbe ascoltare la voce che sussurra al nostro orecchio: “La ninfomania come dipendenza, certo, assomiglia alla stessa dispotica necessità di sopravvivenza nel limbo senza angoscia che ogni essere umano dipendente vive a modo suo. Assomiglia anche, un pochino, al desiderio irrefrenabile della natura per i disastri, per i terremoti, per le catastrofi. Ma la Natura ha veramente dei desideri oppure si tratta esclusivamente di meccanismi? Dov’è finito il de-siderare stelle lontane e brillanti dentro l’assenza totale di lumi che sta nelle nostre contemporanee schiavitù? Non ci basta mai – il telefonino, IPhone 7-8-9-eccetera, la macchina da cambiare assolutamente, la giacca col bordo di pelo di culo di volpe, la carta igienica con la faccia di Donald Trump e di Hillary Clinton.”
Peccato però, ecco, aggiungerei in piena coscienza, che in un modo o nell’altro non siamo mai soddisfatti.
Le passioni in Ombra
La psicoanalisi ormai ci solletica la coscienza da più di un secolo. Non possiamo più ignorare il fatto che dietro le passioni intense non ci sia il fiore ma il ferro, che dietro il desiderio smodato verso qualcuno o qualcosa ci sia non la poesia ma la necessità. La passione è tirannia. Se qualcuno riuscirà a trovare ispirazione dentro le spire della schiavitù tessute con maestria dalle mani della propria Ombra, seguendo le indicazioni stradali sulla via dell’interiorità, forse – traducendone il linguaggio sconosciuto, revisionando testi, analizzando incubi da solo o con il terapeuta, sintetizzando materiali, operando alchemicamente, come già si diceva, con la propria feccia – ebbene codesto qualcuno giungerà prima o poi al senso. Egli scoprirà il tesoro che l’amante bramato nascondeva furbescamente dietro la schiena e si riconoscerà allo specchio.
Occorrerebbe andare a cercare il lato B del desiderio. Sempre. O, almeno, provarci.
L’integrazione di questa nostra comune gemella interiore, la gemella ombrosa, differente in ogni individuo a seconda del lato A, che corrisponde al volto cosciente, ovvero luminosa se il lato A è nero e viceversa, è uno dei più importanti passaggi del percorso individuativo secondo Carl Gustav Jung. Ma per poter conoscere la nostra Ombra bisogna – tanto per cominciare – non lasciarsene completamente divorare, sedurre, coinvolgere al punto da identificarsi in lei senza via di scampo.
La coscienza del lato B è dunque un aspetto fondamentale della nostra tridimensionalità vitale.
“Dentro di noi c’è un’Ombra. Un tipo molto cattivo, povero, che dobbiamo dunque accettare…”
C.G.J.
Flagello
sostantivo maschile
1.
Sferza fatta di funicelle sparse di nodi o di strisce di cuoio terminanti con palline metalliche, usata un tempo come strumento di pena o di penitenza.
“percuotere col f.”
2.
fig.
Grave sciagura collettiva: il f. della guerra, della peste; castigo durissimo, spietato.
“i f. di Dio”
Nel film di lars Von Triers la flagellazione compare come rituale perverso e, ad un certo punto, punitivo verso la fine delle avventure erotiche e drammatiche di Joe, la protagonista. Non riuscendo, non potendo essere madre amorevole – la winnicottiana madre “sufficientemente buona” – per il proprio bambino, dovendo irrefrenabilmente seguire il proprio “flagello” o esserne seguita, Joe si dona a natiche aperte al suo carnefice “K” (l’attore Jamie Bell). Seguita ad ogni passo da una frusta senza carota come i flagellanti devoti del XII° secolo, Joe ne vive in modo alternativo la passione religiosa. La sua visione infantile parla chiaro: non è la Madonna con il bambino a materializzarsi in cielo, bensì l’archetipo della Grande Puttana di Babilonia. Maria ha la sua Ombra in Eva-Lylith e viceversa. Ogni immagine flagella l’altra per dichiarare la sua presenza contemporanea nella nostra psiche. Saremo salvi soltanto nel momento in cui tutte queste voci, tutti questi volti potranno darsi la mano o, per lo meno, guardarsi senza uccidersi a vicenda. Non è necessario che facciano amicizia. Questo no. Si rischierebbe un “volemose bene” foriero di annullamenti energetici.
Briciole di riflessioni da aggiungere:
– se la Peste Nera è stata sostituita dalle numerose amenità che imperversano nel ventunesimo secolo, le compagnie dei flagellanti si sposerebbero perfettamente al contesto con mortificazione della carne e dello spirito. Io dico.
– non va certamente di moda nel mondo occidentale un atteggiamento che miri a rivolgersi al divino per ottenere comprensione dall’alto, per fermare la carestia e la devastazione, eppure intorno a noi il bisogno di passare attraverso sensazioni sempre più forti e dolorose per esistere, per riconoscere l’esistenza, sembra non trovare pace. Siamo abituati alla violenza delle immagini e continuiamo ad essere fruitori di passioni violente. Non è un’epoca di sentimenti delicati e di emozioni contenute. Tutto è esasperato, tutto è “flame”, ma a chi rivolgiamo la domanda esistenziale, pur flagellandoci?
– la via del perverso, o meglio delle perversioni collettive, rigetta l’angoscia e la colpa senza farsene più carico ma vivendo questa angoscia e questa colpa attraverso l’altro-da-sè, mettendo in atto un continuo gioco e giogo di volontà. Il flagello è scelto con cura ma è un’illusione. Poiché quel flagello ci riguarda tutti. Volontà di potenza, hybris della volontà. La volontà del perverso non convede nulla al piano psicologico. In questo collettivo clima di de-patologizzazione delle perversioni, le perversioni stesse diventano collettive, accolte e accettate dai più per traferirsi sull’altro.
– sull’uomo dubbioso, sul pensatore riflessivo viene proiettata la perversione. Il dubbioso è la Peste Nera del politically correct.
Depravazione
Il concetto di perversione proiettato su coloro che portano in luce il dubbio di fronte a ciò che è noto e conformisticamente accettato è di di volta in volta differente, nei secoli dei secoli, a seconda del contesto. Se la società è rigidamente angosciata dalla sessualità, ecco che la perversa (o il perverso) è colei (o colui) che svela la collettività del desiderio. Un minimo esempio. Di Aphra Behn, scrittrice londinese del XVII si diceva che fosse una vera puttana. Una che scrisse sfrenatamente come gli uomini più depravati.
“I suoi romanzi erano i preferiti da tutti i lettori inglesi e si davano senza il minimo scrupolo in mano a giovani fanciulle. Il motivo principale delle sue comedie è che la virtù è soltanto una debolezza femminile, una malattia.”
Un vizio.
Nella società viziosa la virtù è vizio e nella società virtuosa avviene il contrario.
Il lato B ha sempre un lato A, ma se B viene preso a modello, A si relega nell’ombra.
Se vige il conformismo della pornografia, nel XXI° secolo il sentimento è guardato con sospetto, il sentimento è negato.
Distrutta la famiglia borghese, viviamo nella piena ossessione della “normalià sessuale e della conformità di genere”, una questione che è diventata il terreno di coltura della perversione.
“La perversione si è spostata ora le menzogne sono più indirette. Ciò a cui stiamo assistendo l’ultimo disperato sforzo per contenere e disciplinare le ambiguità di genere che fanno parte del destino umano sono la commercializzazione delle stesse e la standardizzazione della sessualità deviante.”
“IL VENTESIMO SECOLO SI STA CONCLUDENDO (ORA SI E’ CONCLUSO) NEL CONFORMISMO DELLA PERVERSIONE.”
“Un conformismo che banalizza il significato di libertà erotica.”
Louise Kaplan – Perversioni femminili – Le tentazioni di Emma Bovary
Per cul-tura concludo con una poesia
PER VERSI POLIMORFI
(poi non dite che non son poetica)
Per versi polimorfi
per fasi di sviluppo
procedo e m’avviluppo
in morfologia di versi.
Diversamente abile a rimare
anamorfica
poli-lineare.
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