Recensioni
Venezia salva – Simone Weil, Lisa Orlando
Venezia salva – Simone Weil.
Acconsentire all’alterità del mondo.
A cura di Lisa Orlando.
“In verità Venezia salva, nella sua ubicazione simbolica,
è un grande oratorio tragico sulla perdita della realtà”.
Cristina Campo
Se la diminuzione del sé per far spazio all’altro, consentendo la sua esistenza come altra da me, non costruita dunque secondo i miei desideri, i miei bisogni, la mia immaginazione è – secondo Simone Weil – il grado più alto di attenzione all’altro, una simile autolimitazione è indispensabile anche per essere capaci di prestare attenzione alla realtà.
L’esempio più sublime di questo ritrarsi, affinché venga colga l’alterità del reale e la sua bellezza, è, all’interno dell’opera di Simone Weil – Venezia salva –, la figura di Jaffier, il cospiratore pentito. Infatti, solo quando egli si sottrae alla congiura, abdicando alla volontà di potenza che l’avrebbe portato, insieme agli altri congiurati, nel 1618, a distruggere Venezia, impossessandosene, Jaffier vede per la prima volta la bellezza della città.
È un gesto di vera attenzione quello che, con la rinuncia al proprio sogno di potenza, gli consente di vedere (al fine) la realtà denudata dall’oscuramento della sua immaginazione violenta. Jaffier a un certo punto si arresta, fa un passo indietro, e solo in quel gesto di indietreggiamento scorge Venezia in tutta la sua fragilità e reale bellezza; solo ritraendosi, dunque, rinunciando alla propria velleitaria egoità, diventa capace di vera attenzione; vede la città, e la salva.
Un vuoto, un punto di estraneità, una distanza, che sospenda momentaneamente la propria brama di appropriazione (o autoaffermazione) sono sempre necessari per cogliere il reale nella sua alterità e per non sovrapporvi insistentemente i fantasmi della nostra, quasi sempre fallace, immaginazione.
Come accade, spesso, che l’amore per le persone per cui abbiamo dissipato troppe energie si tramuti in odio, così accade anche con le cose: se vi abbiamo dedicato troppo tempo, pretendiamo che ci restituiscano qualcosa che ci ripaghi per il nostro eccesso di dedizione. Dobbiamo rimettere anche alle cose i debiti che abbiamo contratto con loro per tornare a vederle spogliate di quella sovrabbondanza di cura che si è tramutata in dedizione e dipendenza.
È necessario un vuoto fra noi e le cose, fra noi e le persone (soprattutto quelle a noi più vicine): solo grazie a un punto di estraneità è possibile creare fra noi e loro una distanza che ci consenta di tornare a vederle nella loro alterità e assoluto valore.
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