PER IL TRAMITE DELLA LETTERATURA 5

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COME LA PANDEMIA DA COVID-19 È DIVENTATA L’INSONNIA DEL XXI SECOLO

di Lorenzo Gafforini*

a R.

«Felici i posteri, che non avranno conosciuto queste disgrazie e crederanno che la nostra storia sia una favola!»

FRANCESCO PETRARCA, Familiarum rerum libri

5. La violenza devastatrice della Peste Nera.

È facile pensare come un quadro così delineato – secondo la credenza comune – possa far presagire l’Apocalisse, ben prima dell’anno Mille23 e a maggior ragione antecedente alla peste nera. Di certo, nel famigerato 1346 la popolazione – eccetto gli studiosi – non poteva aver memoria degli avvenimenti del passato sopra descritti. Comunque sia, anche gli insegnamenti degli antenati – come già detto – nei momenti di crisi e novità vengono surclassati dal panico. Così, una fervida partecipazione storica mista alle abbondanti fonti in materia, ancora oggi fa pensare – erroneamente – che la peste nera sia la prima pandemia. Rimane innegabile, comunque, come le vittime mietute dalla c.d. morte nera siano senza precedenti. Basti constatare poi, come al pari del morbo di Giustiniano, la peste nera non sia un evento isolato ma che si protrae addirittura nei secoli successivi.

In particolare, questo tipo di peste con ogni probabilità ha origine dall’Asia e viene “importata” dalla popolazione tartara durante i conflitti in Crimea e a causa dei continui commerci che provenivano da quei territori verso l’Europa. La peste obbliga le istituzioni o gli abitanti a reinventare il proprio stile di vita, anche in considerazione del drastico calo demografico che si è registrato. Si stima, infatti, come «nel 1430 la popolazione complessiva dell’Europa occidentale, che nel 1290 contava 75-80 milioni di individui, era crollata a forse 20-40 milioni»24 . Un trauma, dunque, che influisce su tutte le classi sociali ed è tema centrale anche nelle analisi letterarie e filosofiche. Fra tutte le opere che si riferiscono alla peste, il Decamerone25 di Boccaccio risulta quella più nota e incisiva26 .

Su Boccaccio – e in particolare sul suo libro più noto – sono state scritte migliaia di pagine, anche grazie alla poliedricità della sua opera. L’introduzione al Decamerone è lapidaria: «Comincia il libro chiamato Decameron cognominato Principe Galeotto27 nel quale si contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini». La cornice in cui si inquadra la vicenda è semplice: Firenze, martoriata dalla peste, è desolata, in preda al panico e gli abitanti cadono sotto il flagello della pestilenza28 . Un martedì mattina presso Santa Maria Novella, i dieci giovani decidono di fuggire dalla loro città e ripararsi in campagna, dove si racconteranno le cento novelle.

Il proemio del Boccaccio diviene così – oltre che un raro pezzo di bravura letteraria – una preziosa testimonianza storica, capace di infondere timore ancora oggi. Le tematiche trattate sono pressoché illimitate, ma risulta grandioso come l’autore parli anche della dissoluzione e spinga a un’attenta riflessione in tal senso. Infatti, come precisa Franco Cardini: «il Decameron addita a una società condannata e disperata, che ha smarrito il senso del suo esistere, la strada per una rifondazione cavalleresca di se stessa. Cristiana, certo: ma […] “laica” e “moderna”: la “Commedia umana” di un mondo che riemerge dalla peste di metà secolo, che s’interroga sugli errori che lo hanno condotto sul ciglio della distruzione, che sente il bisogno di ricostruire il suo comune sentire e d’interrogarsi sul suo futuro»29 . E ancora, «il Boccaccio riconobbe che l’imbarbarimento e la mancanza di sensibilità erano da collegarsi strettamente con la paura della morte che paralizzava la società e riconobbe che con il pericolo aumentò la capacità di soffrire»30 . Non sorprende, dunque, come gli stessi cronisti del tempo riportassero una risposta diffusa al dilagare della peste nera: «infilatisi nelle taverne, gli individui si comportavano come se ogni giorno fosse l’ultimo. Molti ricordano come le leggi si fossero svuotate di significato: uomini e donne vivevano senza onore o riguardo per la propria reputazione, dedicandosi al lusso e a una vita sfrenata»31 .

Come osservano Naphy e Spicer, sia la fuga sia gli eccessi32 si pongono in netto contrasto con l’ottica religiosa e con la comunità: infatti, non vi è l’aiuto del prossimo e la popolazione pensa semplicemente a salvarsi. Un gesto umano, dunque, che spinge a diverse speculazioni a sfondo etico e morale. Tuttavia, anche la religione ricoprì un ruolo importante, anche considerate le varie pestilenze di origine biblica che si erano scatenate per volere di Dio. È ampliamente diffusa la concezione per cui il divino punisca per degli errori commessi dagli uomini e la piaga si possa superare solo con il perdono e la redenzione.

Si pensi, ad esempio, alla figura di San Rocco che vive nella seconda metà del Trecento, ancora quando l’Europa è succube della peste. Il Santo, canonizzato poi nel XV secolo, è diventato patrono anche degli appestati, tanto che nell’iconografia spesso mostra un rigonfiamento sulla coscia come a indicare un bubbone33 . Lo stesso San Rocco è protagonista di queste vicende: preferisce prendersi cura dei malati piuttosto che fuggire e trovare riparo34 . Notiamo, quindi, comportamenti antitetici che vanno però a costituire il complesso mosaico di questo periodo funesto35 .

 Note

 23 In realtà è una falsa credenza che gli abitanti del X secolo pensassero di imbattersi nell’Apocalisse allo scoccare della mezzanotte del nuovo millennio. Tale credenza si è diffusa nei secoli, trovando ancora molti sostenitori ai giorni nostri. Basti pensare anche come il Premio Nobel nostrano, Giosuè Carducci, nel 1847 scrisse a riguardo, alimentando questa falsa credenza, Carducci scrive: «V’immaginate il levar del sole nel primo giorno dell’anno Mille? Questo fatto di tutte le mattine ricordate che fu quasi un miracolo, fu promessa di vita nuova, per le generazioni uscenti dal secolo decimo? E che stupore di gioia e che grido salì al cielo dalle turbe raccolte in gruppi silenziosi intorno a’ manieri feudali, accasciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e nei chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormoni per le piazze e alla campagna, quando il sole, eterno fonte di luce e di vita, si levò trionfale la mattina dell’anno Mille! Mille, e non più mille aveva, secondo la tradizione, detto Gesù: dopo mille anni, leggevasi nell’Apocalipsi, Satana sarà disciolto».
24  W. NAPHY – A. SPICER, La peste in Europa, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 34, trad. di Giovanni Arganese.
25  Il Decamerone ha visto anche diverse trasposizioni cinematografiche. Fra tutte, si ricorda quella di Pier Paolo Pasolini, non estraneo alle opere corali, soprattutto con riferimento alla sua ultima filmografia. Inoltre, l’opera del Boccaccio ha anche ispirato il recente lavoro del Premio Nobel Mario Vargas Llosa: M. VARGAS LLOSA, I racconti della peste, Passigli, Firenze, 2018, trad. di Valerio Nardoni.
 26 Altro autore contemporaneo del Boccaccio che fu attento testimone della tragedia, fu Francesco Petrarca. Molti suoi testi, infatti, sono intrisi del timore del suo tempo con una lucida consapevolezza e un’arguta analisi. Si evidenzia come fu proprio la peste nera a uccidere la amata Laura. Per un testo esaustivo sulla tematica – anche in relazione alla pandemia da Covid-19 – si rinvia al saggio P. FINDLEN, Petrarch’s Plague: Love, Death, and Friendship in a Time of Pandemic, in The Public Domain Review, 11 giugno 2020 (si segnala come una tradizione in italiano in italiano sia disponibile sulla rivista online de L’indiscreto).
 27 Personaggio dalla fame proverbiale che permise l’amore fra Lancillotto e Ginevra. Lo spunto di origine cavalleresca sarà poi ripreso anche da Dante nel V canto dell’Inferno per descrivere – e in un certo senso celebrare – l’amore fra Paolo e Francesca, immersi, appunti, nella lettura di un romanzo cavalleresco con protagonisti Lancillotto e Ginevra.
28 «Che piú si può dire, lasciando stare il contado ed alla cittá ritornando, se non che tanta e tal fu la crudeltá del cielo, e forse in parte quella degli uomini, che infra il marzo ed il prossimo luglio vegnente, tra per la forza della pestifera infermitá e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati ne’ lor bisogni per la paura che aveano i sani, oltre a centomilia creature umane si crede per certo dentro alle mura della cittá di Firenze essere stati di vita tolti, che forse, anzi l’accidente mortifero, non si saria estimato, tanti avervene dentro avuti? O quanti gran palagi, quante belle case, quanti nobili abituri per addietro di famiglie pieni, di signori e di donne, infino al menomo fante rimaser vòti! O quante memorabili schiatte, quante ampissime ereditá, quante famose ricchezze si videro senza successor debito rimanere! Quanti valorosi uomini, quante belle donne, quanti leggiadri giovani, li quali non che altri, ma Galieno, Ipocrate o Esculapio avrieno giudicati sanissimi, la mattina desinarono co’ lor parenti, compagni ed amici, che poi la sera vegnente appresso nell’altro mondo cenaron con li lor passati!» (G. BOCCACCIO, Decameron, Newton Compton, Roma, 2015, p. 42).
 29 F. CARDINI, Introduzione al Decameron di Boccaccio, Newton Compton, Roma, 2015, p. 9.
 30 K. BERGDOLT, La peste nera e la fine del Medioevo, Piemme, Alessandria, 1997, pp. 87-88.
 31 W. NAPHY – A. SPICER, La peste in Europa, cit., p. 36.
 32 Il tema della fuga e degli eccessi è ripreso anche nello sconvolgente racconto breve di Edgar Allan Poe, La maschera della morte rossa. Il principe Prospero decide di ritirarsi nel castello con migliaia di amici, conoscenti e cortigiani per fuggire dal morbo che sta appestando le sue terre. Le giornate passano all’insegna della spensieratezza fino a quando si decide di indire un ballo in maschera e proprio in quel momento farà il suo glorioso – ma al contempo discreto – ingresso la morte.
 33 Un’analogia con la storia di San Rocco, si riscontra nel comportamento di Fra Cristoforo ne I promessi sposi che persevera nell’accudire i malati. Nel capitolo XXXVII il Manzoni scrive: «Lucia, domandando del padre Cristoforo a tutti i cappuccini che poté vedere nel lazzeretto, sentì, con più dolore che maraviglia, ch’era morto di peste».
 34 Durante le varie pandemie da paste che si sono succedute nella storia furono intitolate diverse chiese a San Rocco. Con riguardo a Brescia, durante la peste del 1577 fu intitolata la vecchia Chiesa di San Rocco in Via Capriolo. Stessa sorte, anche se antecedente, segue anche la Chiesa di San Rocchino edificata nel 1479 e situata nell’omonima via. Altro Santo, legato all’iconografia della peste è San Sebastiano: infatti il flagello veniva spesso raffigurato come delle frecce scagliate dal cielo che di per sé richiamano il martirio subito dal Santo.
35 Si segnala il capolavoro di Ingmar Bergman, Il settimo sigillo ispirato a sua volta dalla pièce teatrale Pittura su legno dello stesso autore. Bergman riesce ad esprimere tutti i sentimenti che coinvolgono gli uomini durante la pestilenza.