Maurice Maeterlinck. Le serre traslucide dell’interiorità

a cura di Davide Zizza

 

[dal libro “Serre Calde e Quindici Canzoni”, con la curatela di Milo De Angelis, I edizione Oscar Poesia gennaio 1989]

“L’anima umana è capace di una insaziabile fame”
Giovanni di Ruusbroec

I poeti traducono altri poeti per sensibilità congeniali. Quando un poeta traduce uno o più poeti, lo fa perché nella versione in lingua originale ha attuato quella fase di assorbimento a seguito della quale il poeta traduttore, senza emendamento, ha fatto suo ciò che era di quel poeta. Il poeta traduttore ruba le immagini e le riplasma in un felice gioco di assonanze, richiami, creazioni nuove ispirate dalla fonte originaria.
(E già sentiamo l’eco di quello che ci ricorda Ceronetti: “traduzione: ri-creazione”).
Nell’edizione Oscar Poesia la curatela di De Angelis fa emergere la vibrazione interna del testo originale francese e fa risalire alla superficie della parola tradotta le memorie dei poeti frequentati dall’autore delle Serre Calde. La parola poetica sta sempre sulla soglia-limite fra il dire e il rivelare. La poesia di Maeterlinck sta pertanto “au milieu” di qualcosa da disvelare ed è lì per uscire dall’inesploso. Se consideriamo il termine “inéclos” dalla poesia Oraison, eliminando la “in” privativa, riconosciamo la radice verbale di éclore (schiudere, aprire) comune al termine di “éclater”, quindi “éclat, éclatement” (e mi viene in mente il tanto amato libro Lire aux éclats del rabbino Ouaknin) che possiede il senso di scoppiare, esplodere. Che cos’è quindi l’inéclos se non l’inesploso, “ogni cosa non sbocciata”? La realtà inosservata, la poesia stessa vive in un “milieu” che sta fra l’inesploso e la rivelazione, come una bomba la cui miccia è stata avviata ma ancora non ha raggiunto la deflagrazione: l’esistenza, la realtà delle cose, passano inesplose, se i nostri occhi non applicano una lettura del senso che intrinsecamente possiedono. Maeterlinck sorprende perché quando lo leggiamo esplode.
Nelle Serre Calde la verità per Maeterlinck possiede la connotazione interiore e paesaggistica della serra. Visione della serra radiosa e al tempo stesso nebulosa, sfumata, in quanto i riflessi del sole da dentro illanguidiscono l’ambiente di un tepore ambiguo ed evanescente in cui possiamo ritrovare il misticismo più autentico e l’ennui de l’inaction. Sentiamo, nella medievale musicalità dei versi, echi di campanili che fanno scorgere a distanza chiese sperdute, ma percepiamo anche una corsa in discesa nel malessere; da una parte i “clair de lune” come lampade sul paesaggio introspettivo del poeta, dall’altro “i cani gialli del peccato” e “le carni rosse dell’orgoglio”. La poesia diventa riflessione sul bene e sul male, mostra una “vegetazione di simboli” (Feuillage du coeur ricorda le Correspondances del maudit), che quindi esplodono di senso. Il poeta attende nella sua serra “la pioggia e il vento” e nel momento della preghiera scorge “l’ombra triste delle mani”; l’introspezione dei desideri e del pensiero è soggetta a uno spleen – meno incisivo di quello baudelairiano, ma suggestivamente più pittorico – in un attesa di luce che possa far riprendere il “fogliame del cuore” e riaccendere il “vetro ardente”. La poetica cattura tratti e impressioni da dipinto, e la suggestione le ingloba in una sorta di sinestesia. Nel testo Cloches de verre scopriamo “Sento celebrare una festa in una domenica di fame” ed ecco che abbiamo la rivelazione, il rintocco di mezzogiorno, le voci dei festeggianti, il sole a piombo. Apice. Anche la noia raggiunge il suo climax più espressivo, perché è fatto di “leoni annegati nel sole” (Offrande obscure).
Attraverso la serra passa il significato metaforico degli slanci verso l’alto – simboli legati comunque alla tradizione mistica – e di un languore interno fatto di “belve stanche” e “pavoni indifferenti”. Le due forze contrarie mettono in luce questa contraddizione umana, contraddizione necessaria e urgente per riconoscere un percorso di autoconoscenza, capace di risolvere la contrapposizione nell’unità e nella riconciliazione con se stessi. La necessità del sacro nasce dalla presenza del profano. Pertanto se è vero che possiamo ritrovare in Maeterlinck la compresenza di Villiers de l’Isle-Adam, Mallarmé e una lontana evocazione di Verlaine, come fa notare De Angelis il nostro poeta ritrova una consonanza spirituale in Ruusboreck.
Condanna e salvezza convivono.
Nella selva fiorita all’interno di una serra di vetri-specchio, la scrittura di Maeterlinck si stabilisce poesia ascetica, non nel senso di poesia capace di guardare al solo lato spirituale, ma che tiene conto di un cammino accidentato di difficoltà, accidentato e tuttavia importante e creativo perché l’essere umano possa giungere a levare “la sua bianca e mistica preghiera”.