Tre casi tristi

Luigi Boccherini

Sul glorioso Luigi Boccherini e il suo celebre Minuetto ci sarebbe troppo da dire, come si fa? Avesse poi scritto solo il Minuetto… al contrario, fu molto prolifico e fu pure un enfant prodige che a quattordici anni suonava il violoncello a Vienna, assieme al padre contrabbassista. Mi viene però in mente di aver visto una foto, conservata all’Archivio Fotografico Lucchese, che ritraeva le spoglie di Boccherini riesumate. Infatti morì a Madrid nel 1805, ma i suoi resti furono traslati nel 1927 a Lucca, nella chiesa di San Francesco. Comunque non era un bello spettacolo. Mi viene anche in mente un’altra foto con le spoglie riesumate di Ugo Foscolo. Nemmeno quello era un bello spettacolo. Boccherini era sempre a caccia di un protettore che gli permettesse di vivere, cosa comune ai suoi tempi, e quando alla fine non ebbe più un datore di lavoro stabile si ritrovò nella miseria più nera. La triste fine di un vecchio malato che aveva perso due mogli e tre figlie.

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Lo psicanalista

Era persona degna, professionista rispettabile, mi stava anche simpatico. Ora è morto. Mi è rimasto un suo libro che mi prestò. Mi ricordo che negli ultimi tempi – tra l’altro mi accennò alla sua malattia – tendeva ad addormentarsi. Parlavo, parlavo… lui, di fronte a me, con i gomiti appoggiati ai braccioli della poltrona, cominciava a portare le mani davanti al viso come se pregasse. Era un segnale. Dopo poco cominciava a socchiudere gli occhi, reclinava la testa leggermente in avanti. Io continuavo a parlare, le prime volte che accadde non mi pareva possibile che si addormentasse. Pensavo fosse una sua maniera di concentrarsi. Poi, se smettevo di parlare, si riscuoteva, si schiariva la voce e diceva qualcosa che non c’entrava niente. Così capii che si addormentava. Allora, quando prendevamo un nuovo appuntamento, preferivo andarci la mattina o nel primo pomeriggio perché sul finire della giornata le sedute erano a rischio. Fumava tantissimo. Prima che venisse proibito il fumo negli ambienti pubblici e lavorativi, il suo studio era una camera a gas. Però quando arrivavo apriva sempre un po’ la finestra.

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La pentola

C’era un gatto accovacciato in una pentola sul fornello, sembrava a bagnomaria, ma non aveva l’aria di soffrire. Però sotto il collo aveva il pelo un po’ arrossato, come se ci fosse qualche ferita nascosta. E mia madre, che era lì, va a prendere questa pentola perché era una pentola da brodo e dopo si mette a tavola con un piatto di questo brodo e dice che sa un po’ di sangue. Anch’io sono a tavola con un piatto di brodo e sento che, effettivamente, sa un po’ di sangue, non è tanto buono. Però questo gatto non soffriva. Tuttavia era una cosa un po’ schifosa, più che altro avevamo l’idea che il gatto fosse malato più che ferito e quindi bevevamo un brodo infetto.