La canzone che uccide, di Gianluca Barbera

Osservazioni attorno a un romanzo ‘per ragazzi’

Premetto che non sono un esperto di narrativa per ragazzi, di cui il nuovo libro del romanziere, saggista ed editore emiliano-senese fa parte o rientra a tutti gli effetti. Confesso di avere vaghi ricordi delle mie letture pre-adolescenziali, fatte soprattutto, a parte Cuore e Pinocchio, di riduzioni spurie dai classici stranieri (narrativa perlopiù tra Otto e Novecento come Verne e Stevenson. Negli ultimi decenni ho letto alcuni libri in tema, perché firmati da autori famosi (Pinketts) oppure aventi come soggetti argomenti a me noti (jazz e rock) o degni di interesse (biografie semplificate di uomini e donne celebri un po’ come accade alle graphic novel). Non saprei dunque se esistano regole da applicare più o meno fedelmente alla narrativa per ragazzi, in opposizione a quella adulta, tranne forse per alcuni contenuti ancora ritenuti tabù; so comunque leggere un libro e giudicarlo in base alle mie conoscenze o competenze fatte entrambe di studi e sensibilità.

Detto questo, ho trovato via via curioso, interessante, persino emblematico di un certo mondo odierno il libro di Barbera che presenta le avventure (e disavventure), in un’imprecisata metropoli, di una gang di bravi ragazzi che si fanno irretire dalla canzone che uccide del titolo: si tratta della Black Song del rapper Ice Man, il cui ascolto in cuffia produce effetti nefasti sui giovani utenti, molti dei quali spariscono misteriosamente. L’effetto thriller del libro è assicurato e, pur indugiando in alcuni capitoli su aspetti marginali, Barbera riesce a canalizzare la suspense fino all’epilogo (non svelabile) dall’effetto catartico. La canzone che uccide è comunque un romanzo corale che, alla fine, si concentra sulla futura coppietta alla ricerca degli amici scomparsi nel nulla, quasi a voler ribadire che il primo amore non solo ‘non si scorda mai’ ma è anche una ‘cosa seria’, come sottolineerebbe anche un Crepet.

I temi affrontati da Barbera, con esperienze paterne, sono sicuramente quelli giovanili dalla passione per la musica alla rivalità fra bande da rave party ai rapporti tra figli e genitori. Diverso è il discorso sulla scrittura e qui l’autore sceglie il linguaggio letterario abbastanza colto o forbito, incurante, forse di proposito di come parlino i ragazzi di oggi o magari perfettamente consapevole che per avvicinarli alla lettura non serva uno scimmiottamento dello slang, bensì alzare il tiro, tentando quindi di elevare il gusto, il linguaggio, la cultura e la comunicazione. Per taluni critici far parlare i ragazzi ‘come un libro stampato’ è un crimine, ma per altri, come me, semplicemente il tentativo (ben riuscito in questo caso) di mediare gli estremi di una situazione che la scuola, la società, la famiglia faticano a raddrizzare. Forse, in conclusione anche la narrativa per ragazzi ha una ‘morale della favola’ come succede a tutte le fiabe antiche e moderne: e qui siamo di fronte a una visione universale, in cui Barbera, giustamente e autorevolmente, e severo nei confronti del mondo degli adulti, colpevole di mistificare i loro sogni attraverso le lusinghe di operazioni del tutto commerciali, dietro le quali si cela talvolta le malvagità dell’uomo nero o del lupo cattivo, che in questa globalità contemporanea, viene rappresentato attraverso un male estremo, che non rivelo per lasciare al lettore il gusto della scoperta.

Post Scriptum: le mie osservazioni attorno al romanzo per ragazzi di Barbera vogliono essere soprattutto rivolte al pubblico adulto (genitore, insegnate, catechista, educatore, coach, eccetera) che dovrebbe condividere con i giovanissimi questo tipo di letture per ‘crescere’ assieme. L’apprendimento dovrebbe essere sempre reciproco e non unidirezionale.