Recensioni
È in questa vita un’altra vita nuova – Gabriele Galloni
È in questa vita un’altra vita nuova – Gabriele Galloni
È in questa vita un’altra vita nuova
e in questo corpo un altro corpo ancora.
Mi segui fino al bagnasciuga e indietro; affiora
a pelo d’acqua una bottiglia vuota.
È notte, ma la spiaggia è affollatissima;
così che mi è difficile ascoltarti.
Raggiungiamo le dune. C’è un sentiero
dietro il canneto; porta
alla vecchia fabbrica di sapone.
La luce dei falò qui non arriva –
E nemmeno una voce.
Ho tredici anni. E della voce adesso
saprò tutto quello che c’è da sapere; da fare.
Ché in questa vita è un’altra vita nuova
e in ogni corpo un altro corpo ancora.
***
Ti chiamerò a distanza di molti anni
e avrò da tempo smesso di sapere.
Dunque non parlerò; e non parlerai
nemmeno tu. Ma tornerà per tutti
e due la prima sabbia; illuderemo
l’età giovane che dorme nei nostri letti.
Condividiamo una identica estate;
diremo un corpo che non è stato mai.
(Gabriele Galloni, “L’estate del mondo”, Marco Saya, 2019)
Due testi, questi di Galloni, intimamente interconnessi, al punto di sembrare l’uno il rovescio dell’altro: pur partendo da contesti apparentemente distanti (soprattutto da un punto di vista cronologico), il punto di arrivo e il sostrato simbolico e di immagini non solo è comune, ma funzionale alla comprensione reciproca dei versi.
Il tema portante è una rappresentazione trasfigurata della stagione estiva, di una giovinezza innocente e autentica – e condivisa – tratteggiata in episodi dal sapore di un’adolescenza infantile, atemporale (“Mi segui fino al bagnasciuga … È notte, ma la spiaggia è affollatissima … Raggiungiamo le dune. C’è un sentiero dietro il canneto”): a doppio filo, si intreccia l’immagine di un amore infantile, sacro, puro, perché nato in questa dimensione idealizzata e cristallizzata, e in questa dimensione, dal sapore confuso che unisce la meraviglia, il sogno ed il tremendo, è scoperto, vissuto e condiviso.
Nel primo testo tale rappresentazione viene collocata nell’esattezza di un momento passato (“Ho tredici anni”), il che può giustificare l’operazione di trasfigurazione simbolica messa in atto dall’autore. Ma è solo un’occasione – Galloni, attraverso tale circostanza, rende questa estate simbolica un momento di cognizione della bellezza terribile, una vera e propria iniziazione allo splendore più autentico e primitivo, un nucleo esistenziale che resterà di orientamento per gli anni a venire: “adesso / saprò tutto quello che c’è da sapere; da fare”. La circolarità tra apertura e chiusa conferma la dimensione rituale della narrazione, rendendo il simbolo utilizzato qualcosa di universale e comune alle esperienze di chiunque ha vissuto (e non dimenticato) quella sensibilità totalizzante, innocente e accogliente verso l’esistenza: il protagonista del racconto diventa chiunque, la vita lì narrata non è più un episodio autobiografico, ma un colore, un profumo, riconoscibile da ognuno: “ché in questa vita è un’altra vita nuova / e in ogni corpo un altro corpo ancora”. Oltre a universalizzare la dimensione privata di questa percezione del “miracolo” della sensibilità primigenia, nel suo avvicinarsi al mondo e al sentimento, allo stesso tempo i versi ammettono la precarietà e la continua trasformazione dell’esistere, la vita che è sempre “un’altra”, in continuo trasformarsi. Ma questo processo di caducità e di mutabilità costante, sottinteso, appare debole, adombrato dal sole accecante della potenza immaginifica di questa stagione amplificata, rarefatta a simbolo, un vero e proprio faro.
“In quei silenzi ho colto un benvenuto. / Nel pudore del pavido rispetto / Leggevo più che nella lingua sciolta / Dell’eloquenza ardita e impertinente. / L’affetto e una semplicità impacciata / A mio parere dicono di più / Dicendo meno” scriveva Shakespeare nel “Sogno d’una notte di mezza estate”, il cui titolo rassomiglia alla sceneggiatura di questo testo, come il richiamo ai silenzi, al pudore, e alla “semplicità impacciata” ma eloquente.
Nel secondo testo di Galloni il momento cronologico sembra essere quello presente – anche se circostanziato con verbi al futuro, per distanziarli da quell’estate passata, ma eternamente presente: “l’estate” di cui sopra qui si sviluppa ulteriormente, diventando legame atemporale e profondo, che resiste al disincanto degli anni, tra chi l’ha condivisa.
Nonostante “a distanza di molti anni” l’io del testo dichiari che avrà “smesso di sapere”, avvertendo sempre più la distanza da quella sensibilità infantile e pura, trasfigurata nella pura dimensione del sogno e del miracolo, non sarà necessario, infatti, “parlarne” con la chi ha partecipato a tale momento. Nella condivisione di quella dimensione atemporale si realizza una prospettiva di senso amplissima, che nella chiusa l’autore intreccia ambiguamente, e molto opportunamente, alla dimensione del sogno (“diremo un corpo che non è stato mai”), amplificando ulteriormente la suggestività e l’evocatività di questa sua estate, estendendola a potenza orientativa e di significante nella vita di ognuno nella stagione del sogno, del sentimento innocente e tremendo, un sole concettuale in grado di confortare il presente nella conferma di un legame autentico con il mondo, con l’esperienza, e con la persona che a tale mistero è stata “iniziata”.
In sostanza, rimossa ogni sovrastruttura estetica e formale, che certamente amplifica il messaggio, insieme ad una apprezzabilissima sapienza ritmica, metrica ed eufonica, nei testi di Galloni è questa condivisione assoluta, autentica e viscerale a diventare prospettiva di senso, di orientamento e di significato dell’esserci – e dell’essere-in-relazione.
Mario Famularo
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