Galilei annunciava la scoperta dei satelliti di Giove

a cura di Vittorio Alfieri

“Così infinitamente rendo grazie a Dio che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa ammiranda e tenuta a tutti i secoli occulta”. Era il gennaio del 1610, Galileo Galilei annunciava la scoperta dei satelliti di Giove, i primi corpi celesti a essere aggiunti al sistema solare dai tempi delle osservazioni degli antichi greci.

Negli anni successivi alla pubblicazione della sua opera “Sidereus Nuncius”, nella quale abbracciava la teoria copernicana e il sistema eliocentrico, Galileo diede alle stampe diverse altre opere, che gli costarono un primo richiamo da parte della Santa Inquisizione.

Il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”, determinò la sua condanna. Ventitré anni dopo il 1610, il tribunale ecclesiastico lo convocò a Roma per processarlo. Il 22 giugno dello stesso anno fu costretto a pronunciare una pubblica abiura del copernicanesimo per non morire. Il pisano, mente versatile infatti oltre ad essere fisico, astronomo e matematico fu anche un filosofo, palesava il conflitto tra la nuova scienza e la Chiesa cattolica che sosteneva il modello aristotelico tolemaico dell’universo, che qualificava come “assurda e falsa in filosofia” l’affermazione circa la mobilità della Terra e la stabilità del Sole.

La reazione della Chiesa alle nuove prospettive aperte dall’astronomia copernicana può trovare una motivazione nel contesto storico: infatti, l’autorità papale dovette far fronte alla Riforma protestante e aveva visto entrare in crisi il suo potere e mettere in discussione la validità del suo magistero.

Galileo è ritenuto il fondatore della moderna scienza della natura. Ma la sua ricerca ha influito anche sulla riflessione filosofica. Egli osserva che il “libero filosofare circa le cose del mondo e della natura” presuppone il rifiuto della visione aristotelica della realtà, con il suo intreccio di fisica e metafisica.

Galileo sostiene che nelle questioni relative alle cose naturali non si deve fare appello all’autorità di Aristotele, ma si deve apprendere direttamente dal gran libro della natura. Alla potestà di Aristotele e delle Scritture, Galileo sostituì lo studio dell’universo fisico e un nuovo principio d’autorità: quello delle “Senzate Esperienze” e delle “Certe Dimostrazioni”, cioè quello costituito dall’esperienza unita alla ragione.

A Galileo si deve una chiara e netta dichiarazione dell’autonomia della scienza, dalla fede.

Per sostenere tale autonomia, Galileo utilizzò la metafora dei due libri. Sia le Scritture, cioè il libro per eccellenza, sia il “gran libro della natura” sono stati scritti da Dio. Per quanto riguarda il primo, Dio si è rivelato e i testi si adattano alla natura umana -mente-; per quanto riguarda il secondo, invece, la natura viene indagata mediante la scienza. Con questo, non si può confondere la fede religiosa con la scienza.

I nuovi progressi registrati sembravano invalidare la sintesi tra filosofia aristotelica e la teologia cristiana operata nel XIII sec. da Tommaso d’Aquino. Il graduale riconoscimento della validità dell’astronomia eliocentrica di Niccolò Copernico implicava il rifiuto di numerosi aspetti dell’aristotelismo fondati sulla cosmologia geocentrica

L’apostasia dello scienziato è stata molto indagata, mirabile l’opera teatrale “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht. Scelte diverse fecero non rinnegando il proprio pensiero Socrate, di cui si è già scritto e lo speculatore nolano, frate domenicano Giordano Bruno. Il predicatore campano sostenitore anche lui della teoria copernicana e difensore fino alla morte dei suoi concetti, condannato per eresia e bruciato vivo in Campo dei Fiori a Roma, dell’idea sul Padreterno, ossia che lui sia l’infinito, che l’universo sia infinito, realizzato da un Dio altrettanto infinito, da amare sconfinatamente. Decisamente interessante l’idea di fare convivere fede e le ragioni della scienza.

Riflessioni da finis terrae

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