L’etica

a cura di Vittorio Alfieri

L’etica. Lo stato di diritto si riferisce ad essa con organiche norme giuridiche. In tutte le maggiori democrazie, esse stabiliscono le regole di convivenza di una comunità. Scuole di pensiero diverse sostengono che esse contemplino il senso dell’appartenenza ad una data società, a un territorio.

Nel corso dei secoli, le leggi si sono evolute sulla base di concetti sociali generalmente compresi tra i concetti di “si può fare” e di è “proibito”.

L’indagine del comportamento umano in filosofia, diversamente dalle leggi esamina i valori, le azioni e le scelte per individuare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

I principi fondamentali per il comportamento etico sono stati stabiliti millenni fa dai grandi filosofi Socrate per il quale era la conoscenza. Platone l’esplica nella metafora della “seconda navigazione”, quella che si intraprendeva quando non funzionavano più le vele e si poneva mano ai remi che simboleggia la ragione che partorisce l’etica delle idee. Aristotele la definisce nell’opera Etica Nicomachea, le virtù di condotta, in quanto non intellettuali, non sono insegnabili, ma devono essere apprese mediante la pratica, l’abitudine e seguendo l’esempio di uomini saggi. Nel IV secolo a.C., definirono l’etica come “la scienza della morale”. Nel tempo essa ha determinati i principi del comportamento umano, delle azioni quotidiane basate su valori che attengono alla sfera individuale e varia da una società all’altra. Il ramo della speculazione che si occupa di qualsiasi forma di condotta umana, politica, giuridica o morale è quello più ampio. Diversamente, invece, l’etica morale va distinta sia dalla politica sia dal diritto, in quanto ramo della filosofia che si occupa più specificamente della sfera delle azioni buone o cattive e non già di quelle giuridicamente come già riportato o di quelle politicamente più adeguate. Ovviamente si sono susseguite nella storia le teorie, sulla morale grande influenza nel continente europeo la possiede quella cristiana che si fonda sul dogma incomparabile dell’appartenza a Dio predicata da Gesù di Nazaret e che gli uomini sono tutti uguali e tutti fratelli. La regola di condotta evangelica, proprio perché modellata sulla perfezione divina, si traduce in comandamento d’amore per gli altri; si annulla ogni differenza etnica e sociale e l’incondizionato amore per il fratello, anche se nemico e peccatore, è il sommo precetto. È donare sé stessi, senza nulla chiedere in cambio, solo in vista dell’accesso al Regno che è sì dono di Dio, ma insieme meta cui l’uomo deve tendere. Inserita in un messaggio di universale riscatto, da dignità dell’uomo, chiama gli umili, gli incolti, i peccatori al più grande ideale di perfezione morale, rivela il senso del dolore e dell’amore, e pone a fondamento l’esempio del Cristo, il figlio di Dio fatto uomo che, incarnandosi e morendo in croce, riscattò gli uomini donando loro “il potere di diventare figli di Dio”. Hanno espresso invece una morale secolare Immanuel Kant, per il quale la bontà di un’azione è da giudicare solo rispetto al suo risultato. Celebre il suo ‘mantra’, “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” e Friedrich Nietzsche. Quest’ultimo nella “gaia scienza” critica ferocemente la metafisica affermando per la prima volta “Dio è morto”. Il tedesco associa l’origine del nichilismo all’uomo che dapprima si è immaginato dei fini assoluti e delle realtà trascendenti, e in seguito, avendo scoperto che tali fini non esistono è piombato nell’afflizione nichilista: quanto più un uomo si è illuso, tanto più è rimasto deluso. Per Nietzsche,ciò che intende per moralità è un’azione che parta dal centro la propria persona, il proprio interesse, che scaturisca cioè dal proprio universo, tralasciando le false ipocrisie del bene per gli altri come giustificazione fondante il comportamento. Naturalmente Nietzsche aborrisce l’ideale universale di morale assoluta, universale del bene per gli altri, ciò non esclude che sia la morale personale. Per la filosofa Hannah Harendt nel saggio “la banalità del male” in cui descrive Adolf Eichmann tra i principali responsabili operativi dell’olacausto la sua condotta non era dovuta a un’indole maligna ben radicata nell’anima, quanto piuttosto a una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni, commesse in ragione della sua moralità, che prevedeva la superiorità ariana e l’obbedienza in quanto militare.

Tutti abbracciamo Epicuro che aveva come obiettivo principale e fondante il raggiungimento della felicità individuale dell’uomo e in ragione di ciò ognuno ha la sua morale.