Attorno alla Trilogia berlinese

a cura di Guido Michelone

La lettura e la visione – perché una graphic novel non va solo fruita come un romanzo ma anche gustata alla stregua di un ciclo di affreschi – di un’opera senza dubbio importante quale Trilogia berlinese. Violette di marzo (edizioni Oblomov) dall’omonimo romanzo dello scozzese Philip Kerr (19-20); sceneggiato e dipinto dai francesi Pierre Boisserie e François Warsala, Trilogia berlinese presenta subito alcune fondamentali questioni sul genere medesimo, che vanno ben oltre il discorso della recensione.

Per dovere di cronaca va comunque ricordato che questa graphic novel è il fedele adattamento della prima parte del trittico letterario, che lo sfortunato autore dedica al detective privato Bernie Gunther nella Berlino delle Olimpiadi 1936, dunque in pieno nazismo.
Gunther viene assoldato da un anziano facoltoso businessman che vuole far luce, senza ricorrere alla polizia di stato, sull’omicidio della propria figlia e del di lei marito. Bernie, accettando l’incarico, non sa (o forse sì, giacché si tratta di una libera scelta) a quali difficoltà può andare incontro; in tal senso, tutta la graphic novel è un susseguirsi di colpi di scena che, senza qui rivelarne l’epilogo, non portano a una soluzione finale, dato che si tratta del primo terzo di un’opera monumentale, che, con il passare degli anni, viene sempre più ritenuta un autentico capolavoro del genere noir.

Ciò che colpisce tanto nel libro quanto nella graphic novel sono da un lato il piglio del protagonista consapevolmente ispirato al Philip Marlowe di Raymond Chandler e dall’altro la minuziosa realistica descrizione della capitale tedesca tra modernità e abbrutimento.

Ora – e qui finisce la recensione – perché rifare un capolavoro in un altro linguaggio artistico (sia pur accostabile nella parte letteraria)? Una prima risposta potrebbe essere quella di invogliare i lettori pigri, dopo l’esperienza della graphic novel (di per sé più rapida e leggera rispetto a un testo solo scritto) a rivolgersi all’originale per approfondire l’argomento, trovando fra le righe ciò che immagini e vignette non riescono o non possono tradurre o visualizzare. Si tratta senza dubbio di un proposito più che ammirevole, ma a questo punto si potrebbe anche osare qualcosa in più nel senso che questa graphic novel più che opera d’arte, a livello figurativo, resta una normale storia a fumetti, dal contenuto più impegnato e meno volubile o seriale rispetto, ad esempio, ai supereroi della Marvel. 

Ma allora cosa distingue un fumetto da una graphic novel? Il fatto, come sostiene un noto giornalista, che basti che una storiella illustrata venga edita in volume e venduta in libreria (rispetto al giornaletto ‘spacciato’ settimanalmente in edicola) per ottenere la patente di autorialità a cui da sempre manca a Diabolik, Batman o Tex Willer, non ne leggitima il ruolo di nuovo linguaggio estetico. Restando ai disegni di Boisserie e Warsala, il riferimento è in effetti più ai comics americani che ai quadri di Otto Dix o Georg Grosz, i quali, all’epoca dell’ambientazione del racconto, sono i maggiori pittori antinazisti.

Del resto lo stesso Kerr ama Chandler, negli anni Quaranta ritenuto autore di genere e non Letterato con la L maiuscola, un genere, poi, il noir, che ha un pendant fumettistico nelle strisce pulp, anch’esse facenti parte, assieme ai romanzi gialli, del grande Hard Boiled School statunitense, megagenere che, sottostimato all’epoca, è oggi, da circa trent’anni alla base di tutta la cultura postmoderna. Alla fine quale può essere il nocciolo della questione? Semplice: una ragione di mercato.

 

L’editore oggi ha paura di investire in esperimenti troppo spinti o raffinati, e dunque anche di fronte all’accettazione di tematiche impegnate, dure, controverse – come quelle dei libri dell’editore Beccogiallo – preferisce svolgere le trame con immagini perlopiù semplici e popolari che attingano all’immaginario pop fumettistico e non all’arte figurativa novecentesca. Ed è purtroppo, in molti casi, un’occasione perduta se si pensa a come potrebbe essere una graphic novel sulla trilogia berlinese in uno stile espressionista a scelta tra il furore coloristico del gruppo Die Brücke e la fredda contestazione ultrarealista della Neue Sacklitechit (nuova oggettività).