Capitolo IX

E poi un bel giorno, si fa per dire, entrai in ambulatorio e mi attendeva una sorpresa: lo scavo era stato colmato, il buco riempito, Vannini in carne ed ossa sedeva alla sua scrivania con aria, tutto sommato, felice, appena un po’ svagata. Era dunque tornato dalle sue scorribande telluriche e niente in lui faceva pensare a un fantasma. Volli accertarmene, mi avvicinai e gli strinsi un braccio, non senza un po’ di affetto, perché, per quanto la sua indole solitaria lo portasse ad essere indisponente, non potevo nascondere di essere, in cuor mio, contento della sua riapparizione.
Era guarito? Cosa aveva visto sottoterra? Chi aveva incontrato tra i fantasmi? Lo tempestai di domande, volevo sapere, un desiderio smodato di penetrare i suoi segreti mi incendiava il cervello. Forse lui aveva toccato con mano l’aldilà e si era pure attardato in quei territori intermedi fatti, si dice, di materia sottile e invisibile. Doveva per forza avere portato con sé risposte definitive, fossero o no consolanti. Ma restai deluso. Mi rispose vaneggiando di motoristica primordiale, come se avesse ripreso possesso di lui un’antica passione, seppure distillata da qualche esperienza indicibile. Mi parlò di trattori, come inseguendo un suo pensiero interrotto:
 

Senza titolo

– Io non amo i trattori. Li colleziono perché mi fanno male alla salute, ma, in un certo senso, mi assecondano. Mi assecondano in cosa? No, se ci penso bene non mi assecondano, mettono in forse tutte le mie certezze. Anzi, non è nemmeno così. Direi che certificano la mia mancanza di amore per le macchine agricole, dunque per la campagna, che tra parentesi non ho mai visto (e nemmeno so dove sia). In realtà io frequento i parcheggi che si stendono a perdita d’occhio intorno a casa mia. E qui, se così si può dire, “visito” tutti i quadruruoti. Li palpo, valuto con il pollice la consistenza delle lamiere (che mi indica uno spessore variabile tra 0,4 e 0,8 decimi si millimetro). Il trattore non è di questo mondo. Credo che lo spessore delle sue lamiere sia per così dire incommensurabile. Si entra nel regno degli oggetti transustanziati… Sia chiaro: non penso che i Landini siano divinità telluriche, ma certo nessuno mi può (e si può) esimere dal guardarli con quel terrore panico che ben conosce Terenzio, il meccanico dilettante che la notte rinchiudo tra i Landini. Io non lo so perché vi racconto questo. In realtà volevo parlarvi diffusamente della Gastrite Perenne che a quanto pare devasta i geometri. E volevo parlarvene per chiarire il concetto di Malattia Immanente, che mi pare alla base della mia ricerca.

– Chiarissimo come il buio, risposi.

E lui:

– Allora si può dire così: i trattori sono creature averne. Questo per il lavoro che fanno, cioè per il loro attraversare la terra. Vengono su dal basso, da sotto l’Equatore, e questa sarebbe di per sé una sperequazione sui generis. Mi direte in che senso… Ecco, esiste una piccola parte di trattori che invece scendono dai Cieli e raggiungono l’Equatore. Lì si mettono a girare e a scavare con l’intenzione nemmeno troppo segreta di dividere il tutto in due emisferi. C’è un istinto apparentemente contrario alla sperequazione, appunto. Ma qui (o lì), in questa (o quella) terribile e colpevole apparenza, casca per così dire l’Asino Esopico. Precipita in un solco sempre più ampio, rotola in un abisso equatoriale che dimostra soltanto una cosa: la profonda disarmonia fra trattori terrestri e trattori celesti. E in questa distonia (che è anche una discronia in senso lato) si viene a mettere in dubbio la proposizione iniziale: “i trattori sono creature averne”. Ecco, mi verrebbe da chiudere sul nascere questo discorso con una considerazione troppo facile: la trattoristica è la scienza degli asini. Ma troppo in alto io pongo il pensiero dell’Asino Esopico, troppo vasto è il suo (dell’asino) firmamento cerebrale, troppo esiguo è il mondo sotto i suo zoccoli immateriali. A questo punto potrebbe aprirsi uno scenario guerresco: non c’è chi non veda la possibilità – oh quanto reale – di una trattociucomachia. E qui si entra giocoforza nella Letteratura, con la elle proprio maiuscola. E qui lo scienziato si trova sprovvisto di mezzi, e diremmo smezzato, di fronte a un mondo troppo vasto. Dovrei chiamare Leopardi a visionare il campo, a mettere paletti per così dire logistico-filologici, a separare i quadrupedi dai quadruruoti, i raglianti dagli sferraglianti. Insomma – come vedete – la semplicità è scoraggiante.

Io mi sentivo venir meno…