Recensioni
Ciò che la parola spezza, il verso ricompone. Pierluigi Cappello. (Rosa Riggio)
Pierluigi Cappello
Mandate a dire all’imperatore
Crocetti Editore, 2010
Ciò che la parola spezza, il verso ricompone. Pierluigi Cappello.
(di Rosa Riggio)
Riletture.
In ogni poeta, ogni poeta vero, la biografia è un testo da rifare all’infinito, il luogo di piccole, grandi epifanie, dove “il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato”. Nei versi di Pierluigi Cappello, l’io è forse un infinito, che porta con sé tutte le cose (“io sono lo stare di quell’uomo bagnato dalla pioggia”), con lentezza, con la cura di chi guarda da lontano, componendo il presente nella parola, sillaba per sillaba (“stai dentro le parole […] e il presente di queste mani / come se fosse eterno”). Cappello scava, con leggerezza, con una grafia che torna su se stessa, nel buio, come se questo buio ci contenesse (“L’altra notte ho messo la faccia nel buio”). Splendere, forse, nel nome che resta dopo di noi (“e splenderanno amate dal caso / e dal vento le nostre impronte quando qualcuno chiuderà / il cancello dietro a noi, e ci guarderà partire”) è l’involontario scopo della poesia. Il poeta capovolge lo sguardo sul mondo e si fa immemore (“l’albero è capovolto e la radice è nell’aria”, “scrivere e dimenticare”). Ma, come in Vittorio Sereni, poeta a lui affine per “estrema linearità e castità verbale” (come scrisse – di Sereni – Pier Vincenzo Mengaldo), non c’è consolazione. In versi ampi, dalla parola essenziale (“una solitudine nuda come un sasso, che mi riempiva gli occhi”), il poeta si misura con il limite – che è anche divieto – della mente umana alle prese con l’incommensurabile, la distanza che non riusciamo ad immaginare (“non pensarla mai, dovresti farti così vasto da scomparire / se la pensassi”). Cielo, occhi, cenere, sono i topos entro i quali splende il verso, che ha la grazia morbida, trasparente, il respiro largo, e insieme trattenuto, di ciò che stringe e separa, che irretisce “come una stella incoronata di buio”.
Da lontano
Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio
e non c’è più posto per le parole
e a poco a poco ci si raddensa una dolcezza intorno
come una perla intorno al singolo grano di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo un nome amato
per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo
nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato.
Rosa Riggio
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