Il paese della poesia; Elisa Audino, “Io qui ci vivo”

Il paese della poesia
a cura di Rosa Riggio

Elisa Audino, “Io qui ci vivo”

La poesia è corpo, forza dirompente, spesso fuori dalla misura del verso, che non la “contiene”. La poesia è vita in differita, in colloquio con l’io, interlocutore della parola. La poesia è negli spazi vuoti, è in quegli spazi la ferita, quella che non si può nominare. In “Io qui ci vivo”, di Elisa Audino (Gattomerlino 2021) mandante è l’assenza, destinario le parole. Ma queste parole sono, dal momento dell’incontro, accolte come sconosciute, come se la poesia fosse anche, e soprattutto, uno strano personaggio incontrato per caso, da cui, forse, non si attende risposta, solo vicinanza. Nella poesia si osserva il buio, le stanze, le vecchie cose, le lontanaze, i gesti. Nella variabile poesia, variabile necessaria, che sorprende e respinge, mandante è la distanza, lo spaesamento. Allora le parole si spostano, vanno “di lato”, a significare uno stato di differente silenzio, altre epifanie. Si può conversare, in poesia, tentare un dialogo, come a voler dare un timbro di socialità, di accoglienza, al discorso privato, far entrare nell’intimo spiegarsi, spiegare a se stessi. Dentro la poesia ci sono i luoghi, c’è il paese. Dunque la poesia-luogo diventa l’unico (il privilegiato?) in cui la Parola mostra se stessa, essendo insieme sostanza politica e relazione privata. Movimento della sintassi che improvvisa si ferma. Si sosta nelle parole delicate e ferme di Elisa Audino ed è un’attesa fuori e dentro il nulla delle cose, uno spazio di libertà.

Il male fa male

Non hai tempo per me?
Vorrei scriverti al buio
come facevo spesso
e vorrei che tu mi rispondessi.
Sono di nuovo
in una stanza bianca,
le solite disgrazie, la solita routine
              [la solita notte da passare qui].
Ti ricordi quella volta
ti avevo detto che avrei dormito in piedi,
come un cavallo.
La gente pensa che ci sia un equilibrio
nelle cose della vita,
ma io non credo sia così.
C’è a chi va peggio,
lo ripeto continuamente,
ma come direbbe il mio amico poeta
             [ho amici poeti, sai?
Questo non toglie
che non si dovrebbe sentire il male.
E men che meno lo si dovrebbe
osservare così a lungo.

Grida solo chi può

Lascia allora
che io rompa tutto
piatti
giardini
aspettative.
Sono diverse
i n c o m p a t i b i l m e n t e.
Lascia che io suoni
              S B A M
                          e che sposti a destra
                                            il rumore
e a sinistra.
L’avanzare degli stereotipi
quotidiani
contiene verità silenziose
[lo dico da sempre]
dialoghi scritti
cubi di cemento
voti
la ricerca del colpevole
[a favore di chi].

Tutto già visto.

E se mi faccio divorare
dall’assenza di altezza
se mi faccio mangime
per le fameliche bocche
per i lombrichi di piazza Statuto
allora poi
                                    lasciare andare
                            se non posso andare
è buttare tutto

giù
o sigillarmi

qui
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