Come cambiare con Proust.

Come cambiare con Proust.

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Questa mattina ritrovo, tra i libri, un vecchio testo di Alain De Botton, “Come Proust può cambiarvi la vita” (Guanda 1998). Ricordo di averlo letto, ma non ricordo quando, forse un paio di anni fa. O forse di più. Dunque, il titolo non lascia spazio al dubbio che la lettura di Proust possa davvero avere il potere di cambiare la propria vita, piuttosto vuole rivelarci “come” ciò possa avvenire. Sfoglio il libro di De Botton, ansiosa di iniziare il nuovo anno con la prospettiva di radiosi cambiamenti. I nove capitoli sono un elenco di “come”. Come amare la vita oggi, come soffrire con successo, come essere felici in amore…No, non voglio cadere nella trappola, perché non bisogna nutrire troppe illusioni sul fatto che si possa imparare ad essere felici in amore. E poi, nell’ultima pagina del capitolo mi attrae questa frase: “L’amore? Lo faccio spesso, ma non ne parlo mai” (era la risposta di Madame Leroi a chi le chiedeva la sua opinione sull’amore). Il capitolo finale recita: “Come lasciar perdere i libri”. Che sia questa la lezione migliore su come cambiare la propria vita? Leggere per, infine, fare a meno della lettura? Come potremmo, noi, avidi lettori, lasciar perdere i libri? E poi, soprattutto, perché dovremmo? Ma la domanda che si pone Alain De Botton all’inizio del capitolo è la seguente: “Quanto seriamente dovremmo prendere i libri?”. E’ indubbio che nella lettura vi siano dei benefici e che non vi sia modo migliore di prendere consapevolezza di noi stessi, per chi legge, beninteso. Altrimenti potremmo fare altro. Starcene in ozio davanti a un bel tramonto o occuparci di questioni più carnali, o dormire e sognare, sempreverde veicolo di conoscenza. E allora, in che senso bisogna “lasciar perdere i libri”? Proust, nello scoprire l’opera di Ruskin (il famoso critico d’arte inglese), ha una vera rivelazione: “L’universo improvvisamente riacquistò un’importanza infinita ai miei occhi”, tanto che abbandonò il progetto di scrivere un romanzo (era il 1899 e Proust si trovava in vacanza sulle Alpi francesi) per studiare e tradurre, con rigore maniacale e nella più grande confusione di libri e carte, l’opera di Ruskin. Ciò che l’abitudine, la disattenzione ci nascondono, la grande arte ha il non trascurabile valore di farlo rivivere. E allora? Quali riserve potremmo avere nei confronti della lettura, se questa ci rende consapevoli (felicemente o meno è un altro problema) di ciò che proviamo? Scrive Proust: “La lettura si arresta alle soglie della vita spirituale; può introdurci in essa, ma non la costituisce.” Nonostante la stima per qualsiasi maestro, arriva un momento in cui dovremo abbandonarlo, continuando da soli, perché uno dei pericoli è fare del libro il depositario della verità, essere lettori troppo riverenti. Proust riconobbe in Ruskin, che stimava enormemente, anche i limiti, il suo essere anche, tra le altre cose, “ridicolo”. Due sono i sintomi che prova il lettore “troppo riverente e fiducioso”: Il primo è “scambiare gli scrittori per oracoli” e il secondo è “l’incapacità di scrivere dopo aver letto un buon libro”. Proust, dunque, secondo De Botton, ci insegna a non prendere troppo sul serio i libri, anche quelli più belli, perché potremmo, da lettori, sfiorare il ridicolo di farne dei feticci, tradendone lo spirito e, da scrittori, abbandonare ogni ambizione letteraria. Ma De Botton, per quest’ultima eventualità, cita Virginia Woolf che, pur essendo rimasta a bocca aperta dopo la lettura di Proust, non si scoraggiò e fu un bene. Dunque, come Proust può cambiarci la vita? Come qualsiasi altro grande scrittore, a condizione di saperne cogliere lo spirito, guardando il mondo attraverso i suoi occhi, perché è così che accadono quelle resurrezioni che ci svelano qualcosa e del mondo e di noi stessi. Niente idoli, però, che ci trascinerebbero nella superficialità proprio quando vorremmo esaltare le qualità.

Rosa Riggio