Recensioni
DA UN PURGATORIO PRECEDENTE
“Ce n’hoabbastanza ” di Vittorio Vitolo in arte Victor Cavallo
ce n’ho abbastanza per comprarmi una bottiglia di vodka
un chilo di arance un amburg il pane tondo una birra
un pacchetto di marlboro.
E poi mangio l’amburg col pane tondo tostato e
bevo la birra e fumo la marlboro e poi spremo due
arance con la vodka.
E poi esco e incontro la più grande figa della mia
vita con gli occhi verdi e le ciglia nere e la bocca
rossa e le mani nervose e decidiamo cazzo di non
fare nessun film di non scrivere nessuna stronzata di non recitare
nessuna cagata e di non andare in campagna
e di non occuparci della casa né della merda né dei
capelli né dei comunisti.
Io butto nel fiume il trench di mio fratello
io compro i biglietti per la partita roma-river plate
io raccolgo gli occhi nella spazzatura
io accompagno mio figlio nel paradiso totale
senza nessun pericolo né gas né elettricità né politica
né bicchieri né coltelli né stanze di pavimento.
E lei scompare come le ore e appare come le ore
e me ne frego della pensione e me ne frego di morire
me ne frego dei fascisti e dovunque mi sdraio sogno
e ho sempre voglia di baciarla e gli alberi
respirano e le nuvole di merda si spaccano
e da dentro partono razzi luminosi
e dovunque sono vivo e non ho nessuna paura
né dei rinoceronti né dei serpenti né degli appuntamenti
e butto via l’elmetto e esco dalla trincea delle spalle di piombo
e mando affanculo tutti gli stronzi cagacazzi della terra
e grido come un’arancia stellare
e viaggio nella luce dell’ananas e cago cicche d’oro
sulla faccia dei nazi-igienisti maledetti
puliscicessi. Buttare via il tempo della vita
a lucidare i bidè e conservare i bicchieri
e sorridersi a culo sbarrato e invecchiare
come i più stronzi prima di noi.
Maledetti cagoni falsi e vigliacconi.
lei apparirà. Bruciando i tampax dell’anima sanguinante.
apparirà con gli occhi verdi e ciglia nere e bocca rossa
anima luminosa come arcobaleno puro
radice che spiega con tutta la chiarezza perché questa merda è merda
e finirò di vivere la vita con la paura di vivere la vita.
*
A immaginare una vita ce ne vuole un’altra
già pronta a disperdersi
già pronta a non
restituirsi niente a dimenticarsi anche le
parole.
Sembra di scherzare a notte fonda e solitaria
sembra di avere un’età distinta da qualcos’altro
uno stormo che gira attorno gridando
un profumo impreciso di carne bruciata
o un testamento o una casa da acquistare
non so dove
una luce che cambia come me senza sapere
a immaginare una testa più dura
un cuore diverso
una piccola foresta più dentro
dove c’è il respiro
Se fossi un artigiano riprenderei il lavoro
a costruire un comodino celeste
ad avere freddo di mattino vicino al ponte
a vedere i cipressi nel cielo colore del fiume
a parlarmi come a un giovanotto
e se non fossi che un provvisorio mortale
come mio padre come i miei fratelli
a discutere in treno fumando
e a bere liquori bianchi
e certe volte scivolare sulle caviglie come
una signorina nella neve come un ragazzo
con le scarpe nuove
qualcosa è sospeso come un roveto ardente
senza figura né parola
come stessi ben piantato in terra e insieme a
un’infinita altezza
come un lontanissimo mai nato
da qualche mattino i fantasmi mi parlano
appaiono dietro le finestre azzurre
mi toccano le spalle
mi respirano attorno al collo
come un suono di passi che d’improvviso s’alza e poi si smorza
in una quiete simile a sonno d’un animale
come se qualcosa vivesse dentro il rumore dell’acqua
dentro un nido dentro gli occhi chiusi
e io mi chiedo se il coraggio di vedere tremare
e crescere
possa essere il lievito del mio nuovo giorno.
due brani di Franz Krauspenhaar tratti da “Le belle stagioni” (Marco Saya, 2014)
3
Porco cane che ansia
di merda, lei puzza
persino. È lombarda,
di sicuro finto indaffarata;
è scontata, una pasticceria,
uno spaccio. Le luci fondono
le nostre anime, è il buio
oltre la siepe che non c’è,
sta fuori, da Trezzano in giù.
Senza giardini, morti di gelo
come barboni nella notte, e
manici di scopa, e reti lunghe,
dove dormire sonni eterni.
Quest’ansia puzza come
la brutta morte di un cane,
è il passato, che ci torna
in mente. Non la senti?
Anche tu, amica mia, o altro
che non sappiamo bene,
non la senti quest’ansia?
Così povera, accartocciata
sul nostro pane secco,
michette nere, unghie di pane
nero, come pestato da un calcio
del tempo? Come puoi sopportarmi?
Non lo so, è mistero, io son diventato
una luce intermittente, un fanale
che perfora la nebbia, e non sa dove
s’è lasciato sfondare. Come luci buie,
come finestre sciolte da un incendio
che non sappiamo perché s’è avviato,
non sappiamo da dove ci arriva
questo porco macello senza denti
tra le mandibole dei maiali, nei ganci.
Il sangue defluisce anche da noi:
come fai a sopportarmi, amica mia?
Non sei una vera amante, o forse
non lo sei più, la coperta ti serve
per scaldare la nostra rimostranza
a un freddo mondo, ormai pure
invisibile. Che ci ha fatto la vita,
cosa ci ha bucato tra l’ombelico
e quei cento metri di strada
fatti tutte le mattine per stringere
la metropolitana?
6
È la vigilia di Natale, nell’orientamento
di pochi clacson, una birra fiamminga
e un discreto mal di testa, la tv ronfa
anticipando chi la guarda, mettendosi
il cuore elettrodo in pace. Siamo cafoni
per le sterrate del mondo, ciuffi enormi
di cavolo visti dall’alto, 1000 mt d’aereo.
La tensione di sorvolare noi stessi e di vederci,
come non vorremmo; inermi, e sconfitti,
e delusi; ma verdi, verdi ecologici.
Il mio meraviglioso regalo di Natale
è un orologio di gomma, cinese, da
mezzo sub, nero, prezzo 3,90, morbido come
un vibratore (credo) e il bello è che all’una
di notte segna le 13 e, per dire, alle 2
pomeridiane segna le 2. 2. 2. E forse
si addormenta, nelle foreste intricate
dei miei sogni postprandici, golfi
di luci smorzate e di nebbie perse
nella non vista, come la gente che
a un tratto non trova più nemmeno
se stessa, e poi niente, non si trova
più di loro nemmeno il corpo. Così
è il Natale, l’ostacolo che superi
con un solo grande respiro, e poi
più niente, o sei morto totalizzato
zero al totalizzatore, o sei balzato
fuori l’ennesima volta, e ti feliciti
con lo scampato pericolo, l’altr’anno.
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