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Dentro le case siamo tutti piegati – Gianmarco Parodi
Dentro le case siamo tutti piegati – Gianmarco Parodi
Dentro le case
siamo tutti piegati,
piagati dal fuori
che ci sfugge.
Stiamo fermi a rincorrere
nozioni che ci infrangono
le fronti pensierose
davanti agli specchi dei bagni
senza luce.
Là fuori c’è una festa di silenzio,
un’impronta d’assenza
che non si colora e
le poche cose che ci è dato
di portarci dentro
sono solo le manche lamentele
di tutto ciò che sembra
andare tutto bene.
(Gianmarco Parodi, inedito)
In questo inedito di Gianmarco Parodi, particolarmente calzante al periodo di involontario isolamento domestico globale che, chi più chi meno, ciascuno si è trovato ad affrontare, vi è il ritratto dell’individuo distaccato dal mondo nella sua unità abitativa, che si trova a confrontarsi necessariamente con i propri pensieri, le proprie prospettive, l’idea che tale condizione lo accomuni agli altri individui della società; quell’isolamento, se vogliamo, che il mondo rapidissimo e liquido dei media e di internet ha cercato in ogni modo di “annientare”, recuperando le parole di Montale – annientando ogni possibilità di isolamento e di riflessione.
“Dentro le case / siamo tutti piegati” inizia Gianmarco Parodi, realizzando istantaneamente un collegamento tra una molteplicità di isolamenti, nel pensiero fisso di un “fuori che ci sfugge”; l’avanzare per ossimori procede con uno stare “fermi a rincorrere” una serie di “nozioni … davanti agli specchi dei bagni” che accomunano pressappoco tutte le nostre abitazioni.
Quel “fuori che ci sfugge”, nel momento in cui l’io inizia ad averne percezione e coscienza, è il motore del pensiero critico, dello spirito di ricerca e del tentativo di comprensione (letteralmente) del mondo e dell’altro da sé – nonostante la condizione sia geneticamente oscura (“senza luce”): rincorrere la possibilità di una prospettiva di senso e di significato che si sottrae a noi è già risveglio a un procedimento di significazione delle cose e dell’esistere.
Versi molto semplici, che allo stesso tempo però evidenziano una condizione reale, che accomuna degli attimi di solitudine che appartengono a ciascuno, “un’impronta d’assenza” di cui ognuno ha percepito, almeno per un istante, il perimetro doloroso; mentre fuori si avverte in lontananza una “festa di silenzio” (continuano le dicotomie oppositive), l’unica cosa che ci portiamo dentro è il mantra del “va tutto bene” nonostante ogni cosa sembri puntare nella direzione opposta.
E probabilmente, anche in questa chiusa, vi è un ossimoro conclusivo che si completa nel non detto del verso: “sembra / andare tutto bene” – ma evidentemente così non è – ed è pertanto necessario, una volta raggiunta questa maturazione della coscienza, affrontare la questione senza voltarsi indietro né cedendo alle innumerevoli distrazioni del tempo accelerato della società del consumo: e il tempo sospeso che ci è stato concesso, paradossalmente, è occasione perfetta per riallinearsi a tale prospettiva umana ed esistenziale.
Mario Famularo
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