DI FELLATIO E DI ASCENSORI. La sua sbadataggine ci ucciderà

Dpcm, spostamenti vietati e coprifuoco

“Dal 21 dicembre al 6 gennaio sono vietati tutti gli spostamenti da una Regione all’altra, anche per raggiungere le seconde case. Il 25 e 26 dicembre e il 1° gennaio sono vietati anche gli spostamenti da un Comune all’altro. Resta il coprifuoco, cioè divieto di spostarsi su tutto il territorio italiano dalle 22 alle 5. Il 31 dicembre, Capodanno, sono anche vietati gli spostamenti dalle 22 alle 7. Ci si potrà spostare solo per motivi di lavoro, di salute e in casi di necessità, anche nelle ore notturne. Tra questi, Conte ha fatto che rientra anche l’assistenza a persone non autosufficienti”

REPUBBLICA 3 dicembre 2020

284° giorno di pandemia
DI FELLATIO E DI ASCENSORI
(“LA SUA SBADATAGGINE CI UCCIDERA’”)

Monica

Quando fa il primo giro della piazza confondo la sua macchina con un’altra, e così salgo con un anziano; poi scendo. Ripassa, mi carica, accosta, coi baci facciamo appannare i vetri. “Dove vuoi andare?”, “In pasticceria”, lui preferirebbe andare subito a casa a scopare ma c’è il sole, e una volta ho scritto, non riesco a immaginare maggiore voluttà di quella di respirare i germogli al Bois, giungendo a piedi, chiaro-vestita, primaverile come la giornata, che era dolce, magari a braccetto di un uomo, magari a braccetto del signor Toulet eccetera. Come al solito, Ernesto cerca di confondere le commesse, comunque prendiamo otto pasticcini e altre cianfrusaglie, e due bicchieri di vino bianco. Chiedo di sederci sulle gradinate del Duomo, da lontano ci riprendono delle telecamere, mentre con una strana timidezza rispondiamo alle ricerche sulla sessualità dei surrealisti. Ernesto ha capito che voleva baciarmi quando mi ha guardata andare via la prima volta che mi ha vista a Parma, dice, “ma ora mi sto eccitando, andiamo a casa”. Mentre saliamo blocco l’ascensore, gli slaccio i pantaloni e inizio a succhiarglielo, facciamo su e giù dal primo al quarto piano per qualche minuto, finché non mi viene l’idea di andare in cantina. Ho bisogno di fantasia, ho le manette in borsa. E del cazzo in gola, della luce automatica che si spegne, di lui che cerca di mettermelo nel culo, e io che cortesemente preferisco aspettare, della polvere sul parka e sotto le suole. Poi sentiamo arrivare gente, ce ne andiamo; mi rovescia sul divano. Lo conduco in camera da letto, prendo un foulard, gli bendo gli occhi, lo cospargo di olio, mi struscio, non ce la fa a lasciarmi guidare, mi abbassa le mutande e me lo infila, siamo eccitatissimi e finiamo velocemente. Ci sciacquiamo nella vasca – la telefonata della moglie, la saluta “ciao amore” – facciamo una foto in cui non vuole che ci baciamo – se ne va.

Ernesto

Sono di nuovo qui, sempre di fretta, nell’arsenale asburgico. E vedo da lontano lei che, lanciando sguardi timorosi, apre la portiera di un’auto sottocasa. Alla guida c’è un anziano, credo sia il marito ma forse è troppo anziano. Le passo avanti. No. Forse è il padre del marito, o un amico del padre del marito. La vedo scendere e scusarsi. La sua sbadataggine ci ucciderà.
Il solito intreccio di lingue e la fretta è impetuosa come gli ormoni: vorrei scopare e, magari dopo, sotto il sole, si va a prender due pasticcini. Invece lei trova la scusa di un poeta simbolista di origine creola e mi trascina fino alla Cattedrale. Fingo elegantemente di non avere un’erezione. Mi ingozzo di pasticcini deglutiti a Prosecco. Lei li lascia, mangio anche i suoi. Facciamo lo pseudo-questionario dei surrealisti sul sesso, viene malissimo, io rimugino col marron glacé che ho in bocca. Non oso pensare a quando, quello stesso questionario, lo proporrà (perché lo farà) a una band di poeti esibizionisti molti dei quali la vogliono scopare. Qualcuno ci fa delle riprese, alzo gli occhi al cielo.
Poi arranchiamo verso casa sguardo nello sguardo. In ascensore non me l’aspetto: blocca la cabina, mi apre la patta e me lo succhia fino alla gola. Rialzo gli occhi al cielo. L’ascensore fa su e giù come il suo pompino; poi si apre al piano e io ho il cazzo all’aria. Fortuna che non c’è nessuno. Scendiamo in cantina, mani e bocca dappertutto: tento di metterglielo nel culo, ma lei dice che ha le sue cose. Io insisto: “Appunto. È una soluzione alternativa”. Stavolta sentiamo le voci dei vicini. Saliamo, lei mi benda, vuole condurre il gioco, mi sfrega d’olio. Mi sembro un tonno ma sono eccitatissimo. Non ricordo se il cane è sotto le coperte, ma non mi pare. Lei continua, da impazzire. Alla fine, scoppio, e le entro dentro. Mi vesto in frettissima, riecco il panico. La foto mi imbarazza, lei non capisce. La sensazione, per lei, è dell’ultima volta. L’ascensore si chiude alle mie spalle. Sembra un film francese.