Dualismo a Pompei

Colonnello: Marine, cos’è quel distintivo sul giubbotto?
Soldato Joker: Un simbolo di pace, signore!

Colonnello: Dove l’hai preso?
Soldato Joker: Non me lo ricordo signore!

Colonnello: Che cosa c’è scritto sul tuo elmetto?
Soldato Joker: “Nato per uccidere” signore!

Colonnello: Tu scrivi “Nato per uccidere” sull’elmetto, e porti un distintivo di pace. Che cosa credi di fare, umorismo malsano?
Soldato Joker: Signornò!

Colonnello: E ora dimmi, che cosa significa?
Soldato Joker: Non saprei signore!

Colonnello: Non sai un sacco di cose, mi pare.
Soldato Joker: Signornò!

Colonnello: Cerca di stabilire un contatto fra la testa e il culo, altrimenti sono cazzi enormi!
Soldato Joker: Signorsì!

Colonnello: Rispondi alla mia domanda, sennò ti mando dritto dritto alla disciplinare!
Soldato Joker: Io volevo soltanto fare riferimento alla dualità dell’essere umano, signore.

Colonnello: A cosa?
Soldato Joker: L’ambiguità dell’uomo, una teoria junghiana, signore.

Colonnello: Tu da che parte stai, giovanotto?
Soldato Joker: Io tengo per noi, signore.

Colonnello: Tu ami la tua patria?
Soldato Joker: Signorsì!

Colonnello: Allora uniformati al programma! In riga con gli altri, e avanti per la grande vittoria!
Soldato Joker: Signorsì!

Colonnello: Figliolo, ai miei marines io non ho mai chiesto altro che di obbedire a me come alla parola di Dio. Noi siamo qui per aiutare i vietnamiti, perché dentro ogni muso giallo c’è uno che sogna di diventare americano. È un mondo spietato, figliolo! Bisogna tener duro fino a quando passerà questa mania della pace!

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(Stanley Kubrick, Full Metal Jacket)
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L’invito è per l’anteprima stampa del film-concerto “David Gilmour Live at Pompeii”. Non saranno presenti in sala i protagonisti di questo straniante intermezzo kubrickiano sulla follia militare. Nessun Colonnello. Nessun Soldato Jocker. Ma poco ci manca.
Giunge in sala per primo Giornalista Romantico (GR): è inquieto, un po’ prevenuto, maldisposto (è watersiano, giusto per capirci). Si mangia le pellicine. Comunque vada, il film si fonda su una scelta di cattivo gusto, tipo tornare con la tua nuova fiamma (cioè te stesso, nel senso di David) in un luogo che hai reso sacro con la tua ex.
Passa qualche minuto e arriva anche l’altro, Giornalista Disincantato (GD). Saluta GR con la consueta raccomandazione: “Affrontare la musica dal lato dei ricordi, alla fine ti fa ammalare”. Niente lo potrebbe descrivere meglio. Così come nient’altro descriverebbe meglio GR, che ammalato lo è fin dall’inizio.

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Gilmour a Pompei ci è già stato nell’ottobre del 1971 come chitarrista dei Pink Floyd. Il film-documentario di Adrian Maben è entrato di diritto nella storia e nell’immaginario della cultura giovanile come pietra miliare dell’atto creativo e dell’onnipotenza del rock. E’ questo il fastidio (uno dei fastidi) che prova GR nel prepararsi alla visione sul grande schermo di un evento che qualcuno ha già definito “il trionfo dell’estetica musicale”. Ma, ovvio, è un problema suo.
GR e GD siedono distanziati di qualche fila. GR ha invitato Roger Waters, che gli siede a fianco, nel posto vuoto. Anche Roger ha le palle girate, ma ce l’ha con l’Italia a dire il vero, una continua rogna: da piccolo gli ha portato via il padre, pilota della RAF; qualche mese fa gli ha messo sulla strada quella spocchietta di Isgrò e ora gli consegna pure questa specie di profanazione del tempio celebrata con tutti i crismi.

Dopo la prima mezz’ora, GR è parecchio incazzato: “Ho suonato qui nel ’71 con Rick e ora ritorno in questo luogo popolato dai fantasmi” gli tocca sentire da Gilmour sul megaschermo, che la fa volutamente fuori dal vaso. GR si gira verso Waters e insieme scuotono la testa. “Ci hai suonato con tutta la band, dove Rick era il tastierista, Nick il batterista e dove c’era anche Roger, quello che tu stai chirurgicamente occultando nei ricordi e nel flashback fotografico che hai scelto come sottofondo alle tue parole”.
Il romanticismo di GR a quel punto assume le forme di uno “sturm und drang” nemmeno troppo sottaciuto; la voglia è di scavare un solco ancora più profondo tra sé e lo schermo. Come fa GD con le emozioni. Una rassicurazione? Niente affatto. Questo palese processo di rimozione selettivo operato da Gilmour non è che la dimostrazione di una sudditanza ancora viva, una schiavitù da cui le carte bollate non ti possono affrancare.

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“Niente affatto” pensa anche l’altro, con un significato opposto, è un atto di libertà. GD è impassibile, preparato, attento ai dettagli, freddo in modo bellissimo. A suo modo, in estasi: il suono Dolby Atmos lo avvolge in ogni direzione, è fisico, realistico, devastante. Quasi più delle riprese sature in 4K di Gavin Elder. Annota per informare gli spettatori: in sala vi aspettano 64 diffusori distribuiti lungo ogni lato, anche sopra, anche dietro. Ogni diffusore è gestito da un processore audio individuale; non è uno scherzo. La risoluzione di 8.6 milioni di pixel riproduce qualsiasi dettaglio, quasi a esaltare lo slancio di musicisti che sembrano chiedere agli dei di scendere nell’arena, protesi verso una mitologia in cui quadro e cornice giocano lo stesso ruolo Una band stellare, tra cui spiccano… (fidatevi, GD se li ricorda tutti e li scriverà nome e cognome nel suo pezzo).
Aggiungete a tutto questo la fantasmagorica scenografia visual e le luci con cui Marc Brickman è riuscito a trasformare questo anfiteatro romano – conosciuto ai tempi come “Spectaculum” – in un’ambientazione modernamente epica (ridondante, rimugina GR). Insomma, GD vive una sua apoteosi, si direbbe perfino emozionale. E’ la stessa che vivranno tutti gli spettatori sani di mente. Mentre, invece, questa facile presa, così efficace, costringe GR a un arretramento sul piano emotivo. I due si incrociano sullo stesso terreno durante la toccante esecuzione di The Great Gig in The Sky:

GR – Mi dici cosa cazzo c’entra con Pompei?
GD – Zitto, godi e smettila di rosicare.

Già, la ballata sulla morte di Wright c’entra poco, ma intanto David ha reso Rick un soggetto vivo, mentre Roger è una lapide sfocata. C’è da rosicare, sì. E’ a questo punto che Waters esce di scena, senza salutare, lasciando GR solo in compagnia del suo nuovo cinismo. Mica puoi trattenerlo oltre e costringerlo a sentire One Of These Days, Run Like Hell, Comfortably Numb
La performance è al top: Gilmour è bravissimo, gli arrangiamenti sono omologhi ma perfetti. Gli assolo saranno anche la copia di mille riassunti, ma che meraviglia starli ad ascoltare. Chi l’ha pensato? Poco importa. La band riempie la scena, Pompei è bellissima, anche dall’alto, anche tra duemila anni sarà meraviglioso suonare tra queste rovine che odorano di storia e fasti e fallimenti. Falle tu Shine On You Crazy Diamond, Time, One Of These Days con questa resa spettacolare! Gilmour è bravissimo, sia con i suoi brani, sia con le cover di Waters. Punto.

Musica, Gilmour a Pompei 45 anni dopo

GR si arrende, non prima di aver ricordato a se stesso che i pezzi firmati Gilmour non sono mai riusciti a togliersi di dosso l’allure della scrittura di Waters. Così come il sostituto di Syd Barrett nei Pink Floyd aveva assorbito dal diamante grezzo il modus operandi alla chitarra – salvo poi dover reimparare con dedizione il proprio stile – allo stesso modo la postura dei brani firmati da Gilmour (o cofirmati con la moglie Polly) è evidentemente la medesima di quella del suo vecchio e ingombrante bassista, il capoband, che gliene ha fatte vivere di tutti i colori. Certo, qui il basso non scappa via, non si arresta all’improvviso: è lineare, melodico, al servizio della causa.

Al termine della visione, sia a GR sia a GD verrebbe da applaudire, ma il contegno li censura. Non dite però che per GR sarebbe stato un applauso liberatorio (o uno sfogo per levarsi di dosso quel goffo cinismo che, nell’occasione, indossa malissimo): il godimento c’è stato, bastava solo consegnarsi alla perfezione tecnica ed esecutiva, ai numerosi climax e anche un po’ alle immagini stereotipate, quelle che si usano sempre in questi casi per rendere se possibile più colossali eventi del genere (l’inquadratura dello smartphone che inquadra a sua volta la band che sta suonando è comunque discutibile, anche quando mostrata una sola volta).
E’ ora di uscire: si va, ognuno per la sua strada. GR scriverà un articolo ammettendo la sua esperienza dualistica. GD scriverà un articolo colmo di dettagli, informazioni e riflessioni che sarà bellissimo da leggere.
Entrambi vi direbbero di non mancare l’appuntamento.
 

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David Gilmour Live at Pompeii esce nelle sale solo dal 13 al 15 settembre 2017.

Dal 29 settembre è disponibile in doppio cd, blu-ray, doppio dvd, doppio cd + blu-ray deluxe edition boxet e una confezione in vinile da 4LP, tutto digitale e tutto in alta definizione.