Elizabeth Bishop

Anamnesi parziale di Elizabeth Bishop

Sono stata una bambina del 1911 e ho perso velocemente tutti (un adolescente manicomio per la mamma). Mi hanno cresciuta i nonni canadesi e poi una zia e ho avuto cento malattie così non andavo regolare a scuola, solo più tardi, al College, uno prestigioso di New York città. Con un gruppo di ragazze talentuose fondo una rivista letterararia e mi muovo in quel mondo rinascimentale con agilità e conosco persone. Entro in contatto con la poetessa dell’ora (nessuna ambiguità o manipolazione del linguaggio, precisione e intensità della scrittura, che deve mirare ad emozionare il lettore. E in particolare il rigoroso legame tra etica e linguaggio, basata sull’aderenza al significato delle parole (1)) e viaggio, Parigi, altrove. Con Marianne ci scriviamo, mi porta in antologie preziose e mi corregge i testi fin quando glielo permetto. Io so scrivere bene, da sempre so di cosa scrivere e come (obliqua) perché so leggere bene l’altrove attorno che mi si pone : prima come un quadretto della grandezza di un vecchio dollaro, e prima ancora come una rivista gialla nella sala d’attesa di una clinica, geografie che sono seni difficili di donne di tribù inesauste, e prima prima ancora una nonna stufa e la teiera e le lacrime-lune di inglesi almanacchi e dopo un quadro più grande dove le barche s’incendiano come cerini e dopo la spiaggia a sassettini di un uccelletto in cerca e dopo dopo le mangrovie fossili e il filling station sporco di benzina e olio. So leggere, vedere. Anche un uomo falena. E so comprarmi il mondo, le case di cui ho bisogno, veloce (ma sospesa) le occupo, le scelgo, le interrompo. L’orientamento verticale del mio tema delle medie nel primo raro libro, dopo le ricerche gli studi e il surreale, ho 35 anni e mi presentano il professore di Plath, caro, amico, vicino di balcone-u.s.a.. Consulente in poesia ho fatto visite in ospedale ad un vecchio poeta fascista, un pazzo che mi guarda con gli occhi taglienti, sempre accompagnata da qualcuno. Lo dice lui. Io imparo. Scriverò qualunque cosa possa spiegare questo che è diventato codice ma prima era immersione. Lunghe descrizioni di texture, ingredienti materici e dimensioni e posizioni e sfumature, come monumenti al limite del paese fertile(2), e le mie vecchie nuove cartoline per ricordarmi dove mi sono persa e poi : il finale che supera trascende sbalordisce. Vado in Brasile, immersa, brava, malata, immensa, due settimane che diventano vent’anni e la mia seconda e terza raccolta di poesie. Una fredda primavera, questioni di viaggio. Tutto è più basso qui, dove l’amore tiene e tu lasci che io ti faccia uno shampo (fammela lavare in questa concola di latta, ammaccata e lucida come la luna (3)).

Note :
(1) : Tratto da : AA.VV., Con la tua voce, incontri con dieci grandi poetesse del Novecento, a cura di Gabriela Fantato, La Vita Felice, Milano, 2010
(2) : PAUL KLEE, 1929, matita ed acquerello con velatura su carta fissata su cartone, cm 45,7 x 30,8, Berna, Zentrum Paul Klee
(3) : Bishop, Miracolo a colazione, Adelphi, Milano, 2005, p. 151

 

Utenti on-line

Ci sono attualmente 7 Users Online