Approfondimenti
Enzo Jannacci a dieci anni dalla scomparsa 2
a cura di Guido Michelone
Due decenni
Per l’incontro successivo, tra me ed Enzo, trascorrono due decenni, giungendo all’occasione del settantesimo compleanno, quando sorge naturale la domanda su come egli viva a quell’età: “Si vive raccattando, guardando gli abiti smessi o quelli ancora da mettere, e facendo due conti (…) ma a volte i conti non tornano mai, perchè la felicità nella vita non c’è, o in altri termini la vita non è una cosa felice… è un lungo momento di solitudine e di disperazione a volta tremenda, con qualche sprazzo di serenità… A volte si può arginare, occorre il dialogo e la dialettica, una dialettica interna a noi stessi, qualcosa che venga effettuato con buoni libri, con buoni maestri, con mogli e figli, con amici più giovani e più anziani e soprattutto con l’umiltà di imparare…”.
E a settant’anni dunque “si diventa più lenti, più gracili, più imbarazzati, ma anche più saggi”, magari per scoprire che differenza c’è tra l’Enzo Jannacci settantenne di oggi e quello che aveva vent’anni: “Erano in tanti a dirmi che a vent’anni ero un povero pazzo – più povero che pazzo aggiungo io – un mattoide, ma io tutte le cose che mi andava di fare, le ho fatte…”.
“Questa del ‘mattoide’ del resto è una storia lunga: “Ancora qualche giorno fa incontro per strada uno che, senza conoscermi, dandomi le tu, mi dice: ‘Jannacci te eri un bel matto, quando eri giovane!’ Avrei voluto rispondergli: “Mio caro signore, non ero matto, ero povero!’”.
Ma sul piano musicale bisogna anche intendere cosa sia cambiato in lui rispetto ai vent’anni: “Le composizioni, ma anche i testi si avvicinano di più alla musica dei ritmi sincopati. Già negli anni Sessanta mi rendevo conto che era molto bella quella musica che veniva dall’Africa, veniva da gente impoverita, dagli schiavi portati in America; sul Nuovo Continente allora sbarcava la feccia degli europei: olandesi, britannici, portoghesi, spagnoli. E poi la Chiesa ha fatto disastri nelle Americhe… ho un’età tale che posso dire ciò che penso e ciò che voglio… una questione di libertà d’espressione e prima ancora di coscienza e di portata cardiaca…”.
Cambiando argomento e pensando al suo giovane Paolo, gli chiedo se pensa che suo figlio possa vivere in un mondo migliore: “Non credo. I ragazzini se ne stanno tutto il giorno coi telefonini o i videogiochi a vedere immagini insulse che mi fanno incazzare. Non succederà niente. Mio figlio Paolo però ha avuto un’educazione che è venuta da me, da mio padre, suo nonno, dalla madre. Mio figlio è magro, solo con la fatica si dimagrisce, si è all’osso e dunque si vede il proprio animo, mentre gli altri giovani soffrono di bulimia, in un Paese che è molto povero, povero culturalmente e moralmente. Penso agli anni in cui tutti votavano Democrazia Cristiana, e intanto morivano Falcone e Borsellino o il generale Dalla Chiesa, qualcuno avrà pur detto qualcosa a loro”.
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