European feeling nella storia del jazz (parte 5)

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Due eventi storici

Tuttavia per conoscere l’identikit dell’european feeling bisogna rapportarsi a due eventi storici di enorme portata alla stessa stregua di quanto sottolineato dai migliori storici del jazz nel collocare il sound nato a New Orleans a fine Ottocento in un più ampio contesto sociale, economico, culturale, politico, militare, geografico, religioso, antropologico; in tal senso i molteplici cambiamenti del jazz americano (nero, creolo, bianco, latino, eccetera) vanno di pari passo alle metamorfosi storiche (colonialismo, guerra civile, abolizione della schiavitù, repulisti a Storyville, malavita di Kansas City, Grande Depressione e New Deal, lotte per i diritti civili, ascesa del rock and roll, Black Power e pantere nere, crisi del 2008, eccetera). Sul Vecchio Continente, invece nazionalismi e dittature, fra le due guerre mondiali, proibiscono il jazz e più o meno direttamente ostacolano il credo libertario dell’european feeling; ma l’epilogo del secondo conflitto mondiale e soprattutto la contestazione sessantottesca favoriscono – anche qui più o meno consapevolmente – la crescita di un european feeling in particolare fra i tanti giovani delle democrazie occidentali e di riflesso anche, da carbonari, di quelli dei Paesi dell’Est.

Con la sconfitta di Hitler e Mussolini, le forze alleate statunitensi forgiano per così dire gli european feeling, che a loro volta le accolgono a braccia aperte non solo come liberatrice, ma quali ancelle di una cultura nobile (la letteratura amata da Pavese e Vittorini, tradotta dalla Pivano), popolare (il cinema hollywoodiano, tra cui un genere, il musical, foriero di tante jazz song), massiva (la cosiddetta ‘American Way Of Life’ di cui la coca-cola è il simbolo per antonomasia) e onnicomprensiva (il jazz sotto forma di swing e dixieland, in seguito di bebop, quale educazione sentimentale formativa).

Un quarto di secolo dopo la guerra, una nuova generazione, attraverso la ‘contestazione generale’, simboleggiata dal Sessantotto o Maggio parigino (in realtà estensibile agli anni 1966-1970) attua una concreta ‘rivoluzione’ soprattutto a livello socioculturale, combattendo contro dogmi, anacronismi, accademie a favore di utopie, sogni, aperture, ideali (non ancora trasformati in ideologie o ideologismi), tentando di eliminare del tutto le arti tradizionali e le estetiche passatiste: in questo modo l’european feeling guarda a tante musiche (protest song, folk etnico, rock sperimentale, ricerca post-dodecafonica) ma alla fine sceglie il free jazz come emblema della rivolta nera da cui poter elaborare inediti percorsi creativi a livello sonoro, unendo a esso una forte componente esistenziale e un immaginario collettivo ultra-rivoluzionario: l’european feeling del Sessantotto è diverso da tutti quelli che lo precedono e lo seguiranno: un consapevole, talvolta sofferto mix di istanze giovanili, di linguaggi underground, di provocazioni artistiche, di ribellismi feroci, di retorica grandiosamente avvenirista, caratterizza anche il tentativo di azzerare la quarta parete che, ad esempio nel jazz, divide il fruitore dal musicista.