Facciamo “come se”. “Il gatto di Schrödinger”

Facciamo “come se”.

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Cercare di capire qualcosa del mondo che ci circonda, della cosiddetta ‘realtà’ è compito che riguarda sia la scienza che la letteratura. Philippe Forest, con “Il gatto di Schrödinger” (Del Vecchio editore, 2014) parte da un’immagine evanescente, quella di un gatto nero, che forse esiste e forse no, che scompare nella notte. Il titolo è il nome del famoso “esperimento concettuale” immaginato da Erwin Schrödinger (premio nobel per la fisica nel 1933), ossia un gatto chiuso in una scatola è contemporanente vivo e morto, finché non apriamo la scatola e non scopriamo se la fiala contenente il veleno si sia rotta oppure no.

Gatti e fisica quantistica sono una bella coppia per spiegare quella cosa incomprensibile che è la realtà. Di cui sappiamo molto poco, se la nozione stessa di ‘realtà’ è in discussione, secondo Niels Bohr e la scuola di Copenhagen.
Possono le leggi che regolano la scienza valere anche per la letteratura? Secondo ‘il principio della decoerenza’, due mondi coabitano, mantenendo entrambi la loro teoria specifica.
Secondo ‘il principio di sovrapposizione’ due forme esistono simultaneamente, sospese, e grazie allo sguardo (in questo caso, il lettore) passano dall’una all’altra. Dunque, questo straordinario romanzo può essere letto come un racconto filosofico in cui non accade nulla e un manuale scientifico in cui si spiega una teoria tra le più affascinanti della fisica quantistica.

Dicevo che non accade nulla. Ciò è vero e nello stesso tempo non lo è.

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“Il gatto di Schrödinger” ha l’efficacia della favola e la validità della scienza. Della prima ci restituisce la magia e della seconda il metodo. Ma i due attributi sono interscambiabili. La sfida di Forest è cercare di comprendere qualcosa di complesso, di impossibile, più o meno come afferrare, di notte, un inesistente gatto nero. Ma ne siamo sicuri? E’ davvero impossibile? Non c’è una verità più vera di un’altra, sono tutte contemporaneamente vere, come il giorno e la notte.

Trovo bellissima questa autobiografia senza “io” (“Non dico il mio nome. […] ne faccio volentieri a meno. Preferisco pensare che non si tratti di nessuno, o di tutti), questo perdersi, come quando, bambini, poco prima di addormentarci, le cose che ci circondavano stavano per essere trasformate “in vasti ammassi di niente”, assorbite nel vuoto e l’ombra cresceva e si espandeva con un movimento lento. Come una scatola che si chiudeva su di noi. E in quella scatola il gatto era, è, contemporaneamente vivo e morto.

Facciamo “come se”.

“Come se: è l’espressione che usano gli scienziati. Ma anche i bambini, e i poeti. Tutto accade come se il mondo nel quale viviamo fosse contemporaneamente lo stesso e un altro, contenuto nella scatola oscura in cui, compresse, stanno tutte le virtualità della vita, in modo che ogni cosa e il suo contrario vi si trovano a fianco al loro posto.”

Per capirci qualcosa di più, o di meno, leggete questo libro, che è un viaggio impossibile, alla ricerca del senso, dunque dentro la vita e la morte. Il realismo non è forse l’impossibile? (W. Siti)
Il mondo è sì, disgraziatamente, come diceva Borges, reale, ma su cosa sia la realtà la strada da percorrere è il “come se” della fisica quantistica (e della poesia).

Rosa Riggio