«Giocavo a essere uno dei miei me stesso»: la scandalosa vita di Maurice Sachs. I

«Giocavo a essere uno dei miei me stesso»: la scandalosa vita di Maurice Sachs.

di Lorenzo Gafforini
 

«Bisogna definire bene il suo spirito
nella sensibile, sensibile luce
di una vecchia festa principesca
i cui fuochi sono al di fuori dello Spirito.»
A. Artaud, Festa di reggenza

Il genio, il talento, la perversione.

Scrivere di Maurice Sachs comporta uno sforzo notevole. Discorrere su una figura ambigua, promiscua e perniciosa di questo tipo evoca sentimenti contrastanti. In un certo senso interfacciarsi con la sua opera significa ragionare e contemplare il baratro delle nostre perversioni. Certo, le sue avventure picaresche a tratti surreali possono attirare e coinvolgere il lettore. Tuttavia, con una sorta di narcisismo mal celato, Sachs si compiace dei propri espedienti, scorribande. Non è una figura che vuole essere compatita e tanto meno si sacrifica immolandosi come pessimo esempio. La sua opera, per quanto contradditoria, manca totalmente di ipocrisia. Si tratta di confessioni di una sincerità inaudita, vagliata inevitabilmente da una personalità sociopatica. La volontà di inserirsi nel tessuto borghese e culturale della società parigina è indissolubilmente accompagnato dal suo rinnegare ogni convenzione sociale. Siamo innanzi a un uomo disturbato, ma dotato di un’immensa sensibilità letteraria. Seppure in maniera distorta – parafrasando Wilde –, Sachs investe nella propria vita tanto il genio (e aggiungerei scellerato) quanto nella propria opera il talento. Questa osservazione si adatta a tal punto da rendere la sua stessa vita un romanzo. Non è un caso che gli scritti più noti siano quelli in parte o del tutto autobiografici. Sachs restituisce in ogni suo commento il ritratto di un mondo corrotto, farabutto e onanista. L’irrequietezza vitale si alterna a inusuali momenti di rigidità morale. D’altronde, citando Constant Benjamin, «si vive come si può; si giudica come si deve».

Un domani lontano.

«Ho ereditato da mio padre la pigrizia, da mia madre la mancanza di equilibrio e la passione, da mio nonno Sachs la curiosità e l’amore per la letteratura, da mia nonna la frivolezza, un certo buon gusto e una singolare forma di egoismo (la più tenace), che è una sorta di indifferenza di fondo; e da ognuno di loro un bisogno di lusso, di disordine, un pizzico di follia e una grande robustezza nello scheletro, negli organi e nell’anima». È così che Sachs ne Il Sabba descrive la sua complessa personalità: un collage ereditario di virtù e debolezze. Riconosce le sue colpe, ma solo per difendersi da una società malata e per un innato sentimento di indifferenza verso le tribolazioni altrui. Vivere giorno per giorno regala a Sachs ore di completo appagamento. L’importante, per lui, è proseguire l’esistenza da finto borghese, crogiolandosi nell’intellighenzia parigina del primo Novecento. In lui non c’è domani perché non esiste prospettiva. L’unico obiettivo è scrivere pagine su pagine per entrare di diritto negli autori immortali. In Una valigia di carne viene più volte ribadita l’idea di vivere approfittandosi delle debolezze e dell’ingenuità altrui. Il furto, la truffa, non comportano un dibattito morale sull’evento; sono analizzati solamente in vista di un timore futuro e, in quanto tale, distante. L’arrivo dei creditori e le indagini della polizia sono un problema solo quando si pongono davanti agli occhi di Sachs. La relativa ansia si materializza al bussare minaccioso di una porta o alla comunicazione esagitata di un ambasciatore. Nel frattempo Sachs legge i classici oppure i contemporanei prediletti. Continua poi imperterrito un monumentale romanzo: Histoire de John Cooper d’Albany, incompiuto e ancora inedito in Italia.

L’epilogo in Una valigia di carne.

Una valigia di carne è la traduzione dei capitoli finali de La chasse à courre, romanzo autobiografico definito da molti come il capolavoro dell’Autore. Edito da Via del Vento Edizioni, il volumetto si propone di donarci l’ideale capitolo conclusivo di un’epopea corrotta. Mentre libri come Alias, Ai tempi del Bœuf sur le toit e Il Sabba analizzano la giovinezza e la prima maturità di Sachs, in quest’opera vediamo un criminale stanco, segnato da una vecchiaia prematura, durante il secondo conflitto mondiale. Tuttavia, se almeno il fisico è segnato e appesantito, l’animo è ancora forte e non sprovvisto di fascino. Sachs, con un certo compiacimento, scrive: «E negli occhi di questo giovane, vidi esattamente quel che ero diventato: quarantenne, calvo, con un cuore vivo che mi saliva agli occhi, fisicamente non bello, ma sempre capace di incantare». E proprio il suo personaggio è la vittima di una forsennata “caccia alla volpe” che presagisce la sua soccombenza. D’altronde Sachs figura la sua dipartita come qualcosa di grandioso, o comunque tragico in tutto il suo lirismo: una volta braccato la sua testa esposta come trofeo e il corpo in pasto agli aguzzini. In questa accezione degna di un traviato martirologio si trovano parallelismi con la brillante opera di Jean Genet. Non sorprende che lo stesso Sartre abbia scritto uno studio approfondito sulla sua figura intitolandolo, appunto, Santo Genet, commediante e martire. Sul punto, come scrivono Gibelli e Fumagalli, «questa sistematica inversione di valori, affidata all’opera narrativa […] e praticata verso il furto e l’omosessualità, ma costantemente esaltata come un itinerario di “ascesi” verso una santità capovolta da conquistarsi in solitudine». Tale ragionamento, ovviamente, si può applicare anche alla produzione di Sachs. Al secolo Maurice Ettinghausen, la sua è un’esistenza fatta di espedienti. Di origine ebraica non esita a convertirsi al cattolicesimo, tanto da passare un breve periodo in seminario. Allontanato con l’accusa di aver sedotto un minorenne, comincia a farsi strada nella scena intellettuale parigina dedicandosi ad affari loschi. Diventa amico e amante di molti intellettuali dell’epoca, come Jean Cocteau, André Gide e Max Jacob. Nei suoi scritti, alcuni pubblicati ancora quando era in vita, descrive in maniera cinica, grottesca e spietata i suoi vizi e quelli della società di cui fa parte. Negli anni Trenta si trasferisce addirittura negli Stati Uniti per prendere in moglie la figlia di un pastore protestante. Dopo una breve e travagliata relazione torna in Francia con un giovane amante americano. I rapporti amorosi si succedono senza un ordine preciso e Sachs prosegue la sua solita vita fino all’occupazione tedesca. In quel momento decide di dedicarsi al mercato nero. Collaborerà anche con la Gestapo come informatore; tuttavia le sue notizie false e i rapporti incostanti lo porteranno in un carcere tedesco. La sua storia ha fine con un colpo di pistola alla nuca nel 1945, durante una marcia della morte.

continua […]