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Ho abitato il cesto e tutto l’incendio – Laura Serluca
Ho abitato il cesto e tutto l’incendio – Laura Serluca
Sono sopravvissuta
Su uno spicchio
Di Luna – madre
Ho abitato
Il cesto e tutto l’incendio
Ho ascoltato
L’Angelo e la Primavera
E spoglia e splendore
Sono stata condotta
Nel bacio – tutto vivo
Come corpo nuovo.
(Laura Serluca, “Magenta”, 2020)
Il rinnovarsi della propria esperienza esistenziale, essere genitore di un nuovo sé che – attraverso lo stupore fantastico, la meraviglia, ma anche la dissolvenza e l’incenerimento – si realizza come sopravvivenza e rinascita: questo sembra emergere dai pochi versi, essenziali e carichi di pregnanza immaginifica e visionaria, di questo testo di Laura Serluca.
L’io del testo inizia a riferire di una sopravvivenza, ai margini di una frazione minima del primo dei molteplici simboli presenti nel testo: la luna (anzi, la “Luna”, personificata, a conferma del valore di madre, in cui verosimilmente l’io lirico si è rispecchiato), in quanto femminile accogliente, perno del fantastico, ma anche richiamo all’indifferenza superiore degli elementi naturali e del cielo; subito dopo il testo richiama il valore materno del simbolo (“Luna – madre”), indicando la propria gestazione attraverso l’abitare “tutto l’incendio” – riducendo in cenere ogni cosa che non è essenziale, per consentire una rinascita cosciente attraverso la valorizzazione di ciò che non può essere destinato alla fiamma, che non può essere rimosso.
Tale operazione avviene attraverso un attento ascolto, una cernita premurosa e approfondita, affidata a due altri simboli personificati: “L’Angelo e la Primavera”.
E inevitabilmente si penserà all’angelo rilkiano, o ad altri passaggi delle sue elegie, come quando, estaticamente e pregno di senso del sacro, sentenzia: “Terra … non sono più necessarie / le tue primavere a guadagnarmi a te -, una, / ah, una sola è già troppo per il sangue. / Senza nome, da tanto, a te mi sono votato. / Sempre fosti nel giusto, e la tua sacra scoperta / è la familiarità con la morte.”
Una morte che è pertanto votarsi senza timore all’incendio, per esperire la morte di ciò che non è essenziale e realizzare, attraverso l’apparente orrore di tale operazione, l’accoglienza del mondo e dell’altro-da-sé, in una rinascita innocente, che dalla “spoglia” porti allo “splendore”, gesto attivo ma allo stesso tempo di ricezione passiva e serena (“Sono stata condotta / Nel bacio”), per riscoprire una vitalità più autentica in un gesto “tutto vivo / come corpo nuovo.”.
Mario Famularo
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