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Ho pensato a questi momenti, la sospensione – Maria Borio
Ho pensato a questi momenti, la sospensione – Maria Borio
Finiranno, finiranno –
ho pensato a questi momenti,
la sospensione, la verità
per tutti – questi secondi
nutrienti come il latte.
Ma il cielo segue il corso dei rami,
è una realtà dipinta
che si muove senza paura
fino a quando non sento che è vero
più di me –
le penne che brillano tra i rami per dirmi
la perfezione è fuori, fuori.
Allora torna la morte come il cielo
su tutte le cose trasformate –
ecco che il cielo ha tutti i colori,
li spinge in alto, li perde,
li fa nuovi, il cielo
cambia ogni giorno – il mondo
resiste solo in parallelo.
(Maria Borio, “L’altro limite”, Pordenonelegge – LietoColle, 2017)
Gli attimi più preziosi, quelli in grado di alimentare con gratificazione il nostro essere nel mondo e in relazione con l’altro da sé – questi attimi hanno una natura istantanea, intimamente provvisoria, al punto che l’unica stabilità (richiamando un termine coniato da Otto Lehto riflettendo sulla scuola di Kyoto) sarebbe quella della transpermanenza, ovvero il costante trasformarsi di ogni fenomeno, l’apparire e svanire di ogni fragile istante e manifestazione dell’esistenza: un’impermanenza eternata nel suo continuo e immanente manifestarsi nel tessuto delle cose.
Questo sembra suggerire il testo di Maria Borio: “Finiranno … questi secondi nutrienti come il latte”, intercettando il vivere di questi fotogrammi rapidi e fugaci al pensiero su di essi, in un attimo di “sospensione” che ha un sapore rivelatorio (diventando poco dopo “la verità / per tutti”): il latte non può che rimandare a una relazione filiale, creaturale, con la natura del divenire che, accolto nella sua incostanza imprevedibile, consente di assaporarne i frutti più preziosi e, per l’appunto, istantanei.
Il cielo “che si muove senza paura” diventa la trasfigurazione di questa interiorizzata consapevolezza della realtà circostante, delle sue leggi apparentemente contraddittorie, che non consentono di eternare alcunché, se non il rapido apparire e svanire di ciò che ha maggiore bellezza e valore – e il dettato ha un tono sereno e accogliente, ma allo stesso tempo tremendo, sacro – arrivando ad avvicinare tale realtà alla perfezione, percepita in assoluto come altra da sé, esterna, in cui perdersi (“è fuori, fuori”, enfatizza l’autrice).
Questo cielo carico di valori semantici ed esistenziali viene legato infine alla morte, che “torna … su tutte le cose trasformate”, racchiudendo in sé “tutti i colori” (è interessante notare come la sommatoria di tutti i colori rimandi al bianco, colore che è allo stesso tempo simbolo di purezza e di morte, soprattutto nelle culture orientali – e indirettamente è un rimando anche al latte dei primi versi: vita e morte nello stesso colore, un corto circuito d’impermanenza), innalzandoli, rinnovandoli, disperdendoli; “il cielo / cambia ogni giorno”, ribadisce la Borio, evidenziando infine come “il mondo” riesca a resistere “solo in parallelo”, proprio per la difficoltà di poter accogliere completamente un distacco sereno e completo dalla dispersione mutevole della bellezza, dal suo incanto a doppio filo con la rovina dello svanire.
Un attimo di sospensione in cui tutto questo colpisce con la violenza di un satori, di un’illuminazione pacificata – per poi tornare a “questi secondi / nutrienti come il latte”, ancora più preziosi per la lucida consapevolezza della loro prossima estinzione.
Mario Famularo
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