I contemplativi hanno un rapporto perverso con la vita

 

Nella Genova cadaverica di prima delle Colombiadi ho incominciato a frequentare i miei fantasmi: che all’inizio erano tre. Anni prima di incontrare Caterinetta. Dall’alto della chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, in Circonvallazione a monte, il Sacro Volto del Mandylion di Edessa sembrava vegliare su quello strambo terzetto di spiriti vagabondi come se fossero stati proiezioni della mia anima affamata d’invisibile. Era un volto impressionante, inespressivo per pienezza d’umanità. Un’immagine che è stata ritenuta per secoli, non a caso, di origine miracolosa. Da qui, il qualificativo di acheropita, cioè a dire “non fatta da mano umana”.

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Gli spiriti intellettuali, Cathy li detestava. Doveva essere lei la favorita. I contemplativi hanno un rapporto perverso con la vita. Che non deve temere le contraddizioni di ciò che accade, e non ha bisogno di confrontarsi con il pensiero della realtà per esercitare il suo istinto alla lotta, al desiderio. Cathy, poi, sentiva la presenza del Sacro Volto come una minaccia. E così gli altri due di cui mi ero innamorato in sogno, il pensatore e il poeta, che facevano tempesta nella mia vita interiore tentando di sottrarla allo sguardo bruciante dell’icona (allora non distinguevo fra il Santo Sudario e la Sindone, mi bastava che la tradizione ne parlasse come del più attendibile fra i ritratti di Gesù. Con quello sguardo antipatico, sul limite fra umano e oltre-umano, e le borse sotto gli occhi). Guidavano lo svolgimento del mio film psichico, desiderosi di liberarmi dal Cristo, o perlomeno dall’idea della possibilità dell’incarnazione del divino.

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I miei fantasmi apparivano e scomparivano a seconda degli umori, dei momenti. Soprattutto i maschi, più volubili di Cathy. Io ero in bilico. Talvolta dalla parte della ragione, più spesso verso la follia. Poi col tempo mi trovai sempre più presente al loro tempo. Ai loro andirivieni. Sapevo prevederli, mi ci facevo trovare e ammiravo sia il flusso continuo che i bruschi sussulti del loro stupefacente pensiero. Flussi e sussulti che tuttavia riconducevano sempre a una medesima volontà. Schiavi di un’immaginazione che voleva svellere ogni asse profondo, e che s’insediava nel “divino” senza bisogno di credere in un Dio, Nietzsche, Yeats e Cathy Earnshaw divennero ben presto i miei compagni d’avventura.