Il cielo comincia dal basso, Sonia Serazzi

 “Antonia Cristallo, mia nonna, dice che noi fummo sempre poveri e mai tamarri: il tamarro è uno che la terra gli basta, il povero invece alza gli occhi al cielo in cerca d’azzurro.”

Inizia così “Il cielo comincia dal basso” di Sonia Serazzi. Il romanzo ha la forma del diario, come dichiara Rosa Sirace, ossia chi ha deciso di appuntare su fogli numerati la vita che fa.
“Ho deciso da un poco di appuntare sull’agenda la vita che faccio. E mi piace riempire fogli con sopra il numero del giorno: non ho tutto lo spazio e tutto il tempo, quindi è giusta una carta che contando me lo ricorda.”

I numeri che introducono i fogli sono quelli che accompagnano le preghiere tratte dalla Bibbia, soprattutto dai Salmi. Posto all’inizio, Mc 14, 50-52 racconta dell’episodio del fanciullo che segue Gesù che è appena stato arrestato ed abbandonato dai suoi discepoli. Quel fanciullo (Marco, secondo la tradizione) è coperto solo da un lenzuolo, che lascia cadere dopo essere stato afferrato e che corre via nudo.

Si può correre dietro alla verità, e si può restarne nudi.

Si denuda, Rosa Siraci, dando alla sua storia di giovane donna del sud, laureata a Perugia e ritornata in un paesino della Calabria, un andamento fatto di salmo, di preghiera recitata sulle note di una musica antica. È storia di oggi, ma dentro la cornice del mito. I versetti biblici ne sono il timbro, come epigrafi su tombe dimenticate. La religione è favola epica, quella di un Guido Sirace che per gioco familiare è il Visconte di Verolea o che fa della madre la Baronessa di Babbumannu . Rosa guarda, osserva e ricorda. I personaggi che disegna, colti nelle loro stranezze, sono granelli di vita, pezzi di un mosaico appuntati sul cuore. Come il professore di stelle o Ladyddì, come la nonna Antonia Cristallo, figura fondamentale, che apre e chiude la storia di questo romanzo ricco di bellezza, come un fiore tra le pagine di un diario, “un cardo amaro di pianto”, perché il dolore c’è, ma
“il dolore sul fondo era una musica scura che non annientava la vita, solo la accompagnava”
Rosa non si risparmia, pur restando nascosta, nell’accompagnare il racconto, che è soprattutto visione: la visione di chi si apre alla vita, senza esporsi, restando un passo indietro. E noi sentiamo gli odori e i sapori della terra, del cibo, dell’amore rumoroso ed accogliente del sud. Il cielo di Rosa è fatto di sapienza, quella dei poveri, che sanno sminuzzare il pane e sanno guardare.
Si sta dentro queste pagine come dentro una cosa buona, come il pane, tra respiri e profumi, dolci come un tintinnio. Il salmo di questa scrittura, dura come un tarallo e morbida e aspra come olio d’oliva, (la sua poesia) è nello sguardo. Largo e sconfinato, per accogliere l’amore, che è “Abitare negli occhi di qualcuno”, e la morte, che negli occhi “spezza il buio”. Perché è questa la verità nuda: “Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3, 14b).