IL GIUDIZIO

S H A M E

non hai proprio nessuna vergogna

Lascia che tutto ti accada bellezza
e terrore: si deve sempre andare,
nessun sentire è mai troppo lontano

LO

La serpe è un
bavaglio il cervo

indossa, la sua bocca
un rosario una manetta

nella nebbia che gli uomini
fanno del mattino

a ogni rilascio
dei loro ben trattenuti

fucili. È un sogno
di vergogna? È un

sogno di potenzialità
mancata, di possibilità

disfatta? A scuola,
nuda. Pane*,

mancano i denti. Podio,
e nessun poema. Una porta

aperta, da su un muro.
Caro Mostro,

nessuno degli ospiti
ripudiati* è arrivato.

Nel buio non è giunta
alcuna tigre*.

AEH

Qui stiamo morti perché non scegliemmo
la vita e ripudiammo* la terra che ci aveva sorti.
La vita, certo, non è molto da perdere;
ma i giovani lo pensano – e noi eravamo giovani.

MM

Non una stolida* fiammata –
mi sento, cenere che crepita – vergognosa,
a malpartito* in tuo servizio.

Ma come disse Josaphat* in quell’occasione
dell’Antico Testamento:

“Non è la mia battaglia,”
e distesa la strategia – in una dolce
arresa, potrebbe essere conquista.

DHL

Tue sono la vergogna e la disperazione
mia la colpa;
il tuo amore era cupo e meticoloso,
il mio quello* del sole per un fiore
che ha creato col suo raggio*.

Fui diligente all*’esplorarti,
sbocciando(ti) stelo per stelo,
finché non ti annoiò il mio fuoco
creativo* avvizzendo nel cipiglio
della tua ultima pena – e posi un freno*.

Conoscevo il tuo dolore, e ruppe
i mie saldi, nervi d’artigiano;

il tuo corpo tremava sotto il mio colpo*,                                                                                      (di scalpello)
e il coraggio mi mancò nel darti
l’ultima tortura che avresti meritato.

Sei aggraziata, sei adorna,
ma opaca e ottusa nella carne,
che, chi altro avrebbe inciso con la spina
di una pena abbacinante*, venne fusa
in un dolce* reticolo di luce.

Come un vetro dipinto*: le migliori
sofferenze bruciarono attraverso la tua carne,
la spogliarono e lasciarono segnata
di una palpitante saggezza e grazia: ma adesso
chi ti rimetterà in sesto*?

Ora chi ti libererà nel rogo,
dalle scorie e i terrori del tuo corpo,
dacché* il fuoco mi ha mancato?
Quale uomo si chinerà sulla tua carne per dissodarne
la croce strepitante?

Una muta, quasi leggiadra* cosa
è la tua faccia, che mi riempie di vergogna
come la vedo farsi pietra*,
corrompendo la perfetta immagine di Dio,
e rabbuiando il mio futuro* vanto.                                                                                                        (eterno)

LordAD

Scorsa notte presso il mio letto ricordo venne
Nostra Signora dell’Allucinazione, e da un’urna
rovesciava fiamma viva, tanto che i miei occhi
ne vennero bruciati*. In mezzo la gloria evanescente
vestiva* molte forme, e una pianse: “Sono la Vergogna
che accompagna Amore, sono tremendamente saggia
nel mutare* fredde labbra e membra in fiamma; perciò
capisci la mia dolcezza*, e venera il mio nome”.

E dappresso*, vestite in abiti lucenti*
con suoni di flauti e risate di labbra soddisfatte*,
un corteo* di tutte le passioni si fece avanti
per tutta la nottata; finché le spettrali navi bianche
dell’alba non fecero scalo*. Al che recitai questa canzone,
“Di tutte le tenerezze* la più dolce è la Vergogna.”

LDA

Ero un osservatore: il mio studente
e il mio migliore insegnante
nella foresta lavorando il poema insieme.
C’erano api nella sua barba,
in senso buono*.

Sollevò il suo mento: questo
era platonico e anche la fonte
per del miele. La sfamò
di due versi che aveva tenuto strette*
nella sua anima per anni. Mi svegliai per appuntarle

e ricordai appena solo.
Se ne andò e lei afferrò
un banjo da un albero –
concluse la canzone migliorando-
la, nel frattempo. Qualcosa come “Il Pastore Appassionato”

ma triste*, blu, di cui gli Impressionisti
sapevano doverne mettere un tocco in ogni ombra.
Saltiamo: il retro scoperchiato di una dozzina d’orologi.
Il tempo
arrestato; pure*

non riparai le lancette di orologi* che avrei potuto muovere.
Le campane e i cucù*,
le ballerine bavaresi*
coi loro grembiuli ed i boccali
chiacchierine* ed esitanti

per tutto il giorno. Ad ogni modo,
non avrei imparato niente se non avessi imparato
a non dire a nessuno quando lui o lei
compaiono in un sogno –
nessuno* la prende (mai) nel modo giusto.

Sembra tutto insensato, lo ammetto – soprattutto il cavallo, ora ci arrivo*.
Pure vorrei chiedere – forse
è meno una domanda che un commento* –
se il canto o il miele saltano*
una generazione, come i gemelli
e il cattivo temperamento*?

Prima del sogno stavo pensando al cavallo
che morse il cowboy a tal punto che potevi vedere dritto
attraverso il suo teschio.
Il cavallo che non poteva essere domato non è una storia
romantica – è una vergogna e termina

con il cavallo che fa male
a un uomo e viene abbattuto.
‘Fanculo* non mi preoccupassi che il cavallo è uno specchio,
come dice l’addestratore. ‘Fanculo* se sono troppo spaventata da spingermi
fuori almeno fino al mio sogno.

Ho solo due strumenti:
attenzione e disattenzione.

Il resto –
solo per lo spettacolo.

Ma diamo a Cesare*…:
quel banjo sull’albero (era) una vera finezza*, inconscio,
una vera illuminazione.                                                                                                                            (jackpot)

I have only two tools:
attention and inattention.

CS

Donami la fame,
Dio che siedi e detti
al mondo i suoi regolamenti*.
Donami la fame, il dolore e la mancanza*,
scacciami con vergogna e disonore*
dalle tue porte d’oro e vanto,
donami la peggiore*, la tua* fame più stanca.                                                                            (scalcinata)

Ma lasciami un minimo* amore,
una voce che mi parli nei giorni conclusivi*,
una mano che mi tocchi nella stanza buia
rompendo la lunga solitudine.
Nella cenere dei giorni*
che offusca l’alba,
una piccola randagia*, stella dell’occidente
balza dai cangianti litorali dell’ombra*.
Lasciami andare alla finestra,
da qui osservare i giorni delle ceneri*
e attendere e conoscere l’arrivo
di un amore minimo*.