Il līmĕn del senso del biancospino

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L’anglosassone aveva molte parole per indicare le potenti donne associate alla divinazione, alla
protezione magica, alla cura della persona e alle maledizioni intese come incantesimi.

Una di queste parole era hægtis o hægtesse, presente nelle glosse per le Parche e le Eumenidi, e
nell’incantesimo di protezione wið færstice “contro una fitta improvvisa”, insieme a Esa “dei
pagani” e ylfa “elfi” (entrambi genitivo plurale).
Wið færstice è un testo medico in anglosassone giunto fino a noi nella collezione conosciuta
come Lacnunga, oggi nella British Library.

Wið færstice significa anche “contro un dolore improvviso, violento, da accoltellamento” e,
secondo Felix Grendon, la cui collezione di incantesimi in anglosassone apparve nel Journal of
American Folklore nel 1908, “l’incantesimo era inteso per curare un improvviso dolore lancinante,
una fitta, simile ad un reumatismo, che poteva essere causata per esser stati colpiti da streghe o
da elfi, o da altri spiriti che volano nell’aria”.
Gli studiosi hanno spesso identificato questo vocabolo proprio con “reumatismo”, ma non vanno
escluse altre possibilità.

Il rimedio descrive come preparare un balsamo, in realtà però l’interesse principale sta proprio
nell’incantesimo unico nel suo genere che segue. Esso descrive come il færstice sia stato causato
da proiettili di ða mihtigan wif, “donne di potere”, che il guaritore combatterà.

L’incantesimo cita anche gli elfi, ritenuti responsabili per quello che oggi in inglese si chiama
elfshot (o elf-shot), una condizione medica descritta appunto nei testi medici anglosassoni e
ritenuta causata da elfi invisibili che lanciano frecce invisibili contro una persona o un animale,
causando improvvisi dolori lancinanti localizzati in una particolare area del corpo1. Le diagnosi
moderne potrebbero includere reumatismi, artrite, dolori muscolari o crampi. Concetti simili
esistevano in altre culture del nord Europa.

Inoltre, in questo incantesimo vi è la sola attestazione in anglosassone delle divinità norrene, gli
Æsir.

Il credo dell’esistenza o, perlomeno, i riferimenti al cosiddetto elfshot persistono ancor oggi nelle
aree rurali, sebbene sembra siano concentrate sugli animali. I contadini a volte trovavano piccole
punte di freccia (i resti di selci neolitiche o mesolitiche, o pietre naturali a forma di lancia).

Per quanto riguarda gli elfi, non bisogna considerarli le creature simpatiche delle favole per
bambini, bensì esseri più simili ai demoni, anche se in epoca anglosassone non erano considerati
del tutto maligni, dato che molti nomi contengono ælf come morfema (ad esempio Ælf-rede “il
consiglio degli elfi”; il nome del re Ælf-ric “il re degli elfi”; etc.).

L’inglese moderno elf, “colui che appartiene ad una razza di esseri soprannaturali del folklore
germanico” deriva dall’anglosassone, nello specifico dal dialetto della Mercia e del Kent elf e da
ælf nel dialetto della Northumbria, ylfe (plurale) in sassone occidentale, con il significato di
“folletto, fata, incubus”, dal protogermanico *albiz (fonte anche dell’antico sassone alf, norreno
alfr, tedesco moderno alp “spirito maligno, gnomo, incubus) di origine sconosciuta. Secondo
Watkins, potrebbe derivare dal protoindoeuropeo *albho– “bianco”.

Insieme a elf/ælf (maschile), l’anglosassone aveva la forma parallela femminile *elfen, il cui plurale
era *elfenna, -elfen, dal protogermanico *albinjo-. Entrambe le parole sopravvissero nell’inglese
medio ed erano molto usate, la prima come elf (con la vocale del plurale), plurale elves; l’ultima
come elven, nel dialetto delle Midlands occidentali alven (plurale elvene), che Tolkien riprese come
aggettivo nel Signore degli anelli nel 1937.

L’elfo germanico in origine era in aspetto simile a un nano e di carattere dispettoso (v. inglese
moderno elf-lock per descrivere un nodo nei capelli; anglosassone ælfadl “incubo”, ælfsogoða
“singhiozzo”, che si pensavano essere causati dagli elfi).

In epoca medioevale gli elfi cominciarono ad essere confusi in qualche modo con le fate; una
sorta di versione “nobile” si ha in Spenser.

Tuttavia, la parola è una componente molto popolare nei nomi anglosassoni, molti dei quali
sopravvivono ancor oggi in nomi e cognomi, come Ælfræd, Alfredo, “il consigliere degli elfi”;
Ælfwine, Alvin, “amico degli elfi”; il sovracitato Ælfric che in inglese moderno è Eldridge. Essa
rimane anche in nomi femminili come Ælfflæd “bellezza degli elfi” o il nome citato nella serie
televisiva Beforeigners Alfhildr, “huldra degli elfi”.

Come aggettivo in inglese moderno permane Elf Lock, “capelli ingarbugliati”, come quelli della
regina Mab, “which it was not fortunate to disentangle” (secondo il glossario a Shakespeare di
Robert Nares, dal 1592).

In italiano abbiamo un altro nome che ha la medesima origine: Alvaro, dal norreno Alfarr,
composto da alfr “elfo” e arr “esercito”, entrato nelle lingue spagnola e portoghese a seguito della
dominazione dei Visigoti.

La cura o la prevenzione per il “colpo dell’elfo” è un incantesimo: le tre piante usate nella cura
sono il tanaceto (Tanacetum parthenium), la falsa ortica “rossa” (Lamium purpureum) e la
piantaggine maggiore (Plantago major). Tutte e tre hanno qualcosa che le accomuna e che si lega
perfettamente all’incantesimo: parte di esse è a forma di lancia (la punta della foglia nel tanaceto
e la forma della foglia del lamio purpureo, e i semi della piantaggine maggiore, come suggerito
dagli studiosi), e come spesso accadeva in epoche antiche l’osservazione delle forme della pianta
suggeriva il loro uso come rimedio. In questo caso, forma di lancia per i dolori attribuiti alle frecce
degli elfi.

Come con molti antichi incantesimi anglosassoni, si presume che la recitazione del testo fosse
accompagnata da gesti. In questo caso, accompagnavano la preparazione che consisteva nel
bollire le tre piante in un pentolino con del burro. Si immergeva un coltello nella pozione e si
strofinava contro la fonte del dolore. Nonostante l’utilizzo popolare delle suddette erbe in forme di guarigione correttiva, è importante sottolineare che l’uso di queste piante potrebbe essere stato
più simbolico che pratico. Molti vecchi incantesimi anglosassoni attingono al simbolismo delle
tradizioni pagane e l’uso delle piante nei testi era probabilmente correlato a questi riferimenti.

I primi 17 versi del Wið færstice vengono definiti un’“introduzione epica”2. H. D. Chickering Jr
sosteneva che “probabilmente non esiste una narrativa epica o mitica” dietro questa sezione
introduttiva; egli sosteneva che andrebbe considerata una sorta di “performance verbale
drammatica”3.

Il testo anglosassone:

Hlūde wǣran hȳ lā hlūde ðā hȳ ofer þone hlǣw ridan
wǣran ānmōde ðā hȳ ofer land ridan
scyld ðū ðē nū þū ðysne nīð genesan mōte
ūt lȳtel spere gif hēr inne sīe
stōd under linde under lēohtum scylde
þǣr ðā mihtigan wīf hyra mægen berǣddon
+ hȳ gyllende gāras sændan
ic him ōðerne eft wille sændan
flēogende flāne forane tōgēanes
ūt lȳtel spere gif hit hēr inne sȳ ·
sæt smið slōh seax
lȳtel īserna wund swīðe
ūt lȳtel spere gif hēr inne sȳ

syx smiðas sǣtan wælspera worhtan
ūt spere næs in spere
gif hēr inne sȳ īsenes dǣl
hægtessan geweorc hit sceal gemyltan
gif ðū wǣre on fell scoten oððe wǣre on flǣsc scoten
oððe wǣre on blōd scoten
oððe wǣre on lið scoten nǣfre ne sȳ ðīn līf ātǣsed
gif hit wǣre ēsa gescot oððe hit wǣre ylfa gescot
oððe hit wǣre hægtessan gescot nū ic wille ðīn helpan
þis ðē tō bōte ēsa gescotes ðis ðē tō bōte ylfa gescotes
ðis ðē tō bōte hægtessan gescotes ic ðīn wille helpan
flēo4 þǣr on fyrgenhǣfde
hāl westū helpe ðīn drihten
nim þonne þæt seax ādō on wǣtan ·

E la traduzione:

Erano rumorosi, sì, rumorosi, quando cavalcavano sul tumulo5;
erano feroci, quando attraversavano la terra.
Proteggiti ora, puoi sopravvivere a questa lotta.
Fuori, piccola lancia, se ce n’è una qui dentro.

Si trovava sotto6 un legno di tiglio7, sotto uno scudo di colore chiaro8,
dove quelle donne potenti schieravano i loro poteri
e mandavano lance urlanti.
Ne manderò un’altra indietro,
una freccia volante avanti in opposizione.
Fuori, piccola lancia, se ce n’è una qui dentro.

Un artigiano era seduto, forgiando coltelli.
Fuori, piccola freccia, se sei lì dentro.
Sei artigiani sedevano, forgiando lance da macello.
Va fuori, lancia, non dentro, lancia.
Se qui dentro c’è un pezzo di ferro9
Opera delle donne di potere, deve sciogliersi.

Se ti hanno colpito alla pelle o ti hanno colpito nella carne
o sei stato colpito nel sangue, o sei stato colpito nelle ossa
o sei stato colpito nei polmoni, possa la tua vita non esserne ferita
Se era un colpo delle divinità o se era un colpo degli elfi
O se era un colpo delle donne di potere, ora ti aiuterò io.

Vola lì sulla cima della montagna
Sii intero(, ora)10! Possa il Signore aiutarti!
Poi prendi il coltello, mettilo nel liquido.

Per quanto riguarda l’interpretazione del testo, per decenni gli studiosi si sono posti mille
domande: il fabbro di cui si parla è Weland? Le “donne potenti” sono valchirie, streghe? I cavalieri
rumorosi sono le valchirie o si fa riferimento alla Wild Hunt, la “Caccia selvaggia”?
Le prime analisi furono in gran parte focalizzate per determinare quali elementi all’interno del testo
derivassero da credenze pre-cristiane e anglosassoni. Di conseguenza, fu prestata molta
attenzione già a “Wið færstice”, che era considerato “uno dei tre o quattro incantesimi più ricchi di
riferimenti pagani”11. Con l’eccezione della benedizione in chiusura, l’incanto manca di evidenti riferimenti cristiani12, e gli studiosi hanno concluso che gli elementi pagani all’interno riflettono tutti un folklore non religioso; l’incantesimo è il prodotto di persone che vivevano nell’Inghilterra tardoanglosassone che avrebbero potuto considerarsi cristiani ma non sentivano alcun bisogno dicristianizzarsi e cristianizzare il testo.

Non è specificatamente chiaro a quale sintomo medico si riferisca il termine færstice e
recentemente Pollington ha espresso l’opinione che si possa considerare un riferimento a
“qualsiasi dolore acuto e inaspettato”.

Hall era del parere che il testo costruisse una forte distinzione tra un gruppo “interno” formato dal
paziente e dal guaritore e un gruppo “esterno” costituito da esseri soprannaturali e sostiene che
l’incantesimo fornisca una chiave per interpretare il significato culturale di ælfe nei testi medioevali.

È per questo, a maggior ragione, egli sostiene, che ælfe, che era solo al maschile, in questa
occasione è citato accanto alla femminile hægtesse13.

Hægtesse è già di per sé una parola magica: scoprirne l’etimologia e la filologia è un viaggio nel
passato di tutti.

L’anglosassone hægtes, hægtesse “strega, fattucchiera, incantatrice, furia” (ridotto a hægtes
supponendo che -tes fosse un suffisso) deriva dal protogermanico *hagatusjon, di origine
sconosciuta. L’olandese heks, il tedesco moderno Hexe “strega” sono ugualmente abbreviati in
quanto derivanti dal medio olandese haghetisse e dall’antico alto tedesco hagzusa.

Il primo elemento probabilmente è imparentato con l’anglosassone haga “recinto, porzione di
bosco delimitata per il taglio della legna”, da cui deriva l’inglese moderno hedge “siepe,
barriera” (derivato dal verbo *hagjanan del germanico occidentale, fonte anche del latino caulae
“recinto, ovile”, della lingua gallica caio “circonvallazione”, gallese cae “siepe, barriera”).
In norreno era tunriða e in antico alto tedesco zunritha, entrambi letteralmente “colui/colei che
cavalca le siepi”, detto di streghe e fantasmi.

Il secondo elemento nella parola composta preistorica può essere collegato al norvegese tysja
“fata; donna storpia”, lingua gallica dusius “demone”; lituano dvasia “spirito”, tutti dal
protoindoeuropeo *dhewes- “volare intorno; fumare; essere sparso; svanire”.

Questa è una di quelle parole per cui non c’è forma maschile, suggerendo che il suo significato in
origine era vicino a “indovina; sortilega”, che erano sempre femminili nel paganesimo del nord
Europa, e hægtesse sembra volesse indicare da un lato “donna dai poteri profetici e
oracolari” (Ælfric la usa per rendere il greco “pitonessa”, la voce dell’oracolo di Delfi), una figura
molto temuta e rispettata. Più avanti, la parola era usata per indicare le donne sagge dei villaggi.

Ma Haga è anche l’haw di hawthorn, Cratægus spp. (monogyna / oxyacantha in particolare), che è
un arbusto importante nella religione pagana dell’Europa settentrionale.

Queste quattro lettere messe insieme hanno numerosissimi livelli di lettura e di etimologia
folklorica. Deriva da qui anche la parola oggi usata in inglese moderno per dire “pagano”: heathen,
suggerito dal medio inglese hæhtis / hægtis “strega, maga, furia, etc.” e haetnesse “dea”, usato per
Minerva e Diana.

Se hægtesse una volta indicava una donna potente e dai poteri sovrannaturali (in norreno è una
parola alternativa per Norn, una delle tre sorelle equivalenti delle Parche), originariamente portava
con sé il senso del biancospino.

Più avanti, quando la magia pagana fu ridotta a pochi episodi sparsi, aveva il senso di hedge-rider,
“colei che cavalca le siepi” ma anche “colei che sta a cavalcioni, in groppa alle siepi”, perché era
una raccoglitrice ma anche perché il biancospino è assurto a confine tra il mondo civilizzato del
villaggio e il mondo selvatico “oltre”. La hægtesse aveva un piede in ogni realtà. Persino dopo,
quando significava la guaritrice locale e colei che collezionava radici, che viveva negli spazi aperti
e si spostava di villaggio in villaggio, poteva avere il significato che aveva in medio inglese
anteponendo hedge- al sostantivo, suggerendo una persona “itinerante” che dormiva sotto i
cespugli (in inglese moderno è rimasto hedge-priest, per assurdo).

Haw di hawthorn è “siepe”, dall’anglosassone haga, dal protogermanico hag-, fonte anche del
norreno hagi, del sassone antico hago, del tedesco Hag, del medio olandese hage e dell’olandese
haag, esattamente la città Den Haag, nomen omen?, dalla radice protoindoeuropea *kagh
“acchiappare la preda; separazione in paglia”. In anglosassone, il frutto del biancospino era chiamato *hægberie, come strawberry (“fragola”) è il frutto del filo di paglia, elderberry (“sambuco”) il frutto dell’anziana, ma questa è un’altra storia che da questa si dipana e corre parallela.

La stessa parola conteneva tutti e tre i significati prima di essere ridotta a quello moderno.

Con un’attenta lettura del nostro manoscritto si possono contestualizzare l’ambientazione e i
personaggi in un panorama di tradizioni europee medioevali. È plausibile che gli esseri a cui si fa
riferimento nei primi dieci versi – anche hy “esse” e ða mihtigan wif “le donne di potere” –
comprendessero un gruppo di donne dai poteri sovrannaturali, e che questo gruppo fosse identico,
o perlomeno includesse, le hægtessan citate dopo nell’incantesimo (infliggono isenes dæl /
hægtessan geweorc “un pezzo di ferro, il lavoro/l’opera delle hægtessan”) -. Questo motivo fa
sicuramente riferimento ad altre immagini di donne “di potere” che uscivano in gruppo e causavano
“fastidio”, attestate ampiamente in tutta l’Europa tardo medioevale e della prima età moderna.

Se da un lato l’episodio dell’isernes dæl (“pezzo di ferro”) all’interno del paziente ha molti paralleli e
sembra persino esserci un’analogia nella Historia ecclesiastica gentis Anglorum del venerabile
Beda, quando una simile azione viene causata dai demoni dell’inferno14, dall’altro sicuramente ylfa
gescot
non è una semplice freccia: gescot da scoten sta a significare sia “colpito da un’arma” che
“pieno di dolore”. Questa polisemia gioca a livello narrativo e di lettura con la linguistica: è un
continuo gioco tra metafora e realtà. Il paziente è allo stesso tempo scoten da un proiettile magico
e scoten da un dolore interiore. L’approccio alla cura, realizzata con le piante, non è solo una
metafora a livello di discorso ma è sottintesa una polisemia a livello lessicale (cosa del resto tipica
delle kenningar norrene che abbondano, anzi sono alla base, di tutte le saghe).

Nel Wið færstice l’uso di vocaboli polisemici (færstice, scoten and gescot tra tutti) aiuta a facilitare
la costruzione nel testo di un rimedio che è con le piante ma sfrutta la presenza di esseri
sovrannaturali per la guarigione.

Le “donne di potere”, simili alle skjøldmær (“shield maiden” in inglese moderno), sono all’inizio del
testo in una precisa zona liminale: vicino un tumulo.

Nel Vǫlundarkviða, Vǫlundr opera la magia tramite l’arte del fabbro, così come le donne operano la
magia con il fuso e la tessitura. Questo concetto suggerisce che l’attività del fabbro descritta nell’incantesimo implica un attacco di magia che potenzialmente causa il dolore, e in parallelo vi è
l’assalto da parte delle mihtigan wif nei versi 3-11.

Possiamo quindi pensare alla realizzazione del balsamo prescritto nell’incantesimo come a un atto creativo con potenziale magico.

L’incantesimo dice, infatti, che chi parla farà tornare indietro i colpi: l’atto della preparazione del balsamo con le erbe curative poteva avere tale effetto. L’atto di creare armi poteva fare del male, l’atto di creare  una soluzione naturale con le erbe selvatiche aveva come effetto la guarigione.

Note

1 Jolly Karen Louise, Elves in the Psalms? In The Devil, Heresy and Witchcraft in the Middle Ages: 1
Essays in Honour of Jefferey B. Russell, BRILL, 1998, pag. 19
2 Chickering Jr. Howell D., The Literary Magic of Wið Færstice, in Viator, 2: 83-104, 1971; pag. 85
3 ibidem, pag. 87
4 potrebbe essere fled
5 sepoltura 
6 anche dietro
7 ovvero uno scudo
8 leggero
un pezzo di lancia 9
10 Nel senso di “sii in salute”.
11 Chickering, op. cit., pag. 83
12 Jolly Karen Louise, Popular Religion in Late Saxon England: Elf Charms in Context, Chapel Hill,
The University of North Carolina Press, 1996, pag. 139
13 Hall Alaric, Elves in Anglo-Saxon England: Matters of Belief, Health, Gender and Identity, in 13
Anglo-Saxon Studies, 8, Woodbridge, Boydell Press, 2007, pag. 116
14 Colgrave-Mynors 1991, 500, n. 2