Per il rischio feroce dello spreco – Eleonora Rimolo

a cura di Mario Famularo

Un sole estremo in questo ottobre
e poco altro – un guanto copre le voglie,
le difende dal freddo che le ha crepate:
c’è stata la sera di sempre, un rigirarsi
solitario tra le catene, nel cotone
da sostituire con la lana. Poi il mattino,
l’essere trascinati da due braccia diverse
in direzioni opposte, fino allo strappo
immedicabile. Resta il ritaglio delle ore
in cui non potevo parlarti, la rincorsa
spietata lungo le rotaie e l’amore
che non parte – che non dovrebbe mai partire
per il rischio feroce dello spreco.

(Eleonora Rimolo, inedito)

Un indugiare preciso sul conflitto tra volontà, desiderio e disincanto, frutto dell’esperienza e della lacerazione, che invita alla cautela razionale, al proteggere le vampe del volere dal freddo tossico della realtà che disinganna: sono temi già ampiamente trattati dalla Rimolo, che nel suo ultimo lavoro, La terra originale (pordenonelegge – Lietocolle, 2018) ha accuratamente vivisezionato volontà e desiderio nella prospettiva di un possibile luogo originario degli affetti.

In questo inedito, dal dettato apparentemente calmo e cristallino, si svolge, inizialmente, un parallelismo tra il tempo meteorologico e quello dello svilupparsi della percezione dei propri sentimenti: un sole, che sembra non scaldare, non basta a frenare l’urgenza di coprire “le voglie”, di difenderle “dal freddo che le ha crepate” – come a dire che la traccia della ferita continua a esperire, in una propria memoria carnale, la possibilità del gelo e della sua frattura nonostante un successivo momento di “sole estremo”.

Il dettato mostra rapidamente il suo climax irrequieto nel “rigirarsi / solitario tra le catene”, nel riconoscere la ricorrenze della “sera di sempre”, nell’avvertire la necessità di aumentare le difese e di blindare ancor più l’impulso della “voglia” sotto strati più spessi, “nel cotone / da sostituire con la lana”.

Il conflitto persiste, e lo strazio si configura drasticamente nell’ “essere trascinati da due braccia diverse / in direzioni opposte, fino allo strappo / immedicabile”: un’immagine che ricorda strumenti di tortura medievali per la violenza subita dal corpo; violenza che si trasporta inevitabilmente alla sfera di quelle voglie, e il peso che tormenta in direzioni opposte diventa “il ritaglio delle ore / in cui non potevo parlarti, la rincorsa / spietata lungo le rotaie”, immagini di un sentimento negato o – quanto meno – incapace di compiersi o di realizzarsi appieno.

Anche questa coscienza dell’insufficienza e dell’incompletezza, che nei precedenti lavori fungeva da molla per giustificare la ricerca di un luogo di appartenenza affettiva originario, frammisto a un senso di nostalgica saudade, è tema ricorrente nei versi della Rimolo; in particolar modo, nella chiusa, il treno che parte viene sottinteso da “l’amore / che non parte – che non dovrebbe mai partire”, con una conclusione terribile che rivela l’origine del disincanto e di quell’apparente serenità, che è solo coscienza di una profonda asimmetria e insufficienza relazionale: “il rischio feroce dello spreco”.

Dissipare gli slanci, gli investimenti affettivi, umani, personali comporta una stratificazione di disinganni e rafforza quel desiderio – che diventa meccanismo spontaneo – di “coprire” le voglie, per proteggerle dall’ennesimo esito rovinoso; verrebbe da chiedersi perché, allora, tratteggiare con tale forza e precisione uno stato d’animo del genere? Una possibile risposta potrebbe essere per costringere il lettore a considerare la realtà di una chiusura diffusa, di una rottura dei rapporti e della fiducia nei loro esiti, che è diventata misura collettiva di un disincanto degli affetti o quanto meno coscienza della loro sempre maggiore precarietà.

Se da un lato, questa, può apparire come una critica alla trascuratezza di chi i rapporti umani li vive indugiando solo sulla superficie (e a volte anche così vi è una postura protettiva), dall’altro esporre la fragilità di questa condizione evidenzia il richiamo, umanissimo, a chi può comprenderne la sofferente consapevolezza, ed allo stesso tempo è a sua volta slancio estremo di condivisione, e disperato appello a una possibilità di riparare quello “strappo immedicabile”.

  RIMOLO