Approfondimenti
PER IL TRAMITE DELLA LETTERATURA 6b
COME LA PANDEMIA DA COVID-19 È DIVENTATA L’INSONNIA DEL XXI SECOLO
di Lorenzo Gafforini*
a R.
«Felici i posteri, che non avranno conosciuto queste disgrazie e crederanno che la nostra storia sia una favola!»
FRANCESCO PETRARCA, Familiarum rerum libri
Altro capolavoro che si colloca in equilibrio fra la narrativa d’invenzione e la cronaca è il Diario dell’anno della peste di Daniel Defoe pubblicato anonimo nel 1722 e concernenti i fatti verificatesi nel 1665 e ispiratisi agli avvenimenti più recenti di Marsiglia. L’opera – accostata spesso ai diari di Pepys42 – racconta la pandemia che ha colpito Londra nel XVII secolo, tramite le memorie di un personaggio fittizio – tale H.F – à la manière del Robinson Crusoe 43. Il protagonista è un uomo comune e come tale comunica le proprie esperienze in quell’anno delirante con un linguaggio semplice e diretto.
Anche in questa testimonianza fra il narrativo e lo storico si palesa, onnipresente, lo spirito della superstizione. Infatti, Defoe parla dei ciarlatani – come già condannava Luciano di Samosata –: «con quali ridicole, assurde e insensate balordaggini questi oracoli del demonio contentassero e appagassero il popolo, davvero non lo so: ma è che certo che innumerevoli clienti si accalcavano quotidianamente alle porte degli esorcizzatori» 44. Tuttavia, non mancano anche le descrizioni macabre della vicenda. In particolare, H.F. precisa come «il lavoro di rimozione dei cadaveri con i carri [fosse] divenuto a tal punto repellente e pericoloso che ci si lamentava perché i monatti non si curavano di sgomberare le case dove tutti gli abitanti erano morti, ma si protestava perché qualche volta rimanevano diversi giorni insepolti, sinché le famiglie dei vicini erano raggiunti dal fetore, e di conseguenza contagiate» 45.
Con riferimento a quest’ultima osservazione, si precisa come «gli epidemisti spiegavano da sempre le fiammate epidemiche con la presenza di “miasmi” o effluvi nocivi, provocati da acque stagnanti […], i contagionisti le attribuivano invece alla trasmissione interumana di germi. Questa teoria era stata formulata parecchi secoli prima, a metà del Cinquecento, dal medico veronese Girolamo Fracastoro» 46. Comunque, si sottolinea come «per molti la grande peste di Londra sia stata un evento isolato, la realtà dei fatti dimostra esattamente il contrario. Non solo l’epidemia coinvolse molti paesi europei, ma anche molte aree dell’Inghilterra»47 .
Un’altra fonte interessante – ma purtroppo poco conosciuta rispetto a quella precedentemente citate – è un articolo di Defoe uscito su The Review il 13 settembre 1711. Defoe, in particolare, riporta alcune testimonianze, tra cui quella di un prigioniero danese in Svezia. Anche in quegli anni si registra un’altra epidemia di peste verso i paesi scandinavi. Il prigioniero – tale Henryk Boxthuys – scrive: «ci troviamo in una condizione terribile, che d’altronde i nostri nemici condividono. [G]li ufficiali ch’erano a guardia del nostro carcere sono morti, e i soldati fuggono, cosicché noi potremmo lasciare la prigione a nostro piacimento, se sapessimo dove andare. La città è desolata dal morbo; per i villaggi e lungo le strade, i morti giacciono qua e là insepolti» 48 . Defoe diventa una sorta di corrispondente dall’estero e rende partecipe i cittadini britannici delle difficoltà che riversano le popolazioni al di là del mare. Non manca il pathos tipico di alcuni articoli del genere, ma l’intento è chiaro: comunicare – come farà successivamente con il Diario – il pericolo sempre presente della peste, in maniera invasiva e minacciosa49 . Proprio Defoe in incipit all’articolo afferma: «Chi può, senza commuoversi, pensare alle sventure dei suoi simili, deve sentirsi ben certo, per fare ciò, che mai verrà il suo turno»50 .
Note
42 Samuel Pepys è un politico britannico, noto soprattutto per i suoi diari che – fra gli altri avvenimenti – analizzano, oltre la peste del 1665, anche l’incendio di Londra del 1666.
43 Molti hanno dubitato nell’attribuire la paternità dell’opera a Defoe, ma oggi i dubbi sembrano essersi dissipati. Da un punto di vista narrativo è interessante la considerazione svolta nella nota all’opera da Carlo Izzo in D. DEFOE, Opere, II, Sansoni, Firenze, 1957: «Per la determinazione della qualità dell’opera e del giudizio definitivo da portare su di essa, va ancora rilevato un elemento di capitale importanza. Per incongruo che il paragone possa sembrare, si tratta di un espediente cui fece ricorso, in ben diverso contesto, Herman Melville in Moby Dick: gli elementi tecnici e statistici o, in altri termini, la documentazione fornita dal De Foe nel corso dell’opera, hanno infatti, ai nostri occhi, il medesimo valore estetico che, nel romanzo del Melville, le informazioni sulla vita delle balene, e sulle diverse specie di balene, e sul modo di dar loro la caccia, e su quello che se ne può trarre. In entrambi i casi, si tratti dei bollettini parrocchiali sul numero dei morti o delle citazioni ricavate da autorevoli opere di cetologia, le interpolazioni sono ovviamente intese ad assicurare il lettore che non sta leggendo una favola, ma una relazione di fatti veri, di cui gli si forniscono persino le cifre esatte e i dati scientifici».
44 D. DEFOE, Diario dell’anno della peste in Opere, II, Sansoni, Firenze, 1957, p. 411, trad. di Giorgio De Rigo.
45 Ivi, pp. 491-492. L’ultima frase conferma come Defoe fosse in linea con le credenze dell’epoca. Manzoni critica questa posizione privilegiando le norme igieniche come migliore contrasto verso la malattia, ma dobbiamo comunque ribadire come l’esperienza della scrittura del Manzoni sia già dell’Ottocento.
46E. TOGNOTTI, Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia, Laterza, Bari, 2000, p. 37.
47W. NAPHY – A. SPICER, La peste in Europa, cit., p. 101.
48 D. DEFOE, Pagine da “The Review” in Opere, III, cit., p. 912.
49 Alcuni critici, tuttavia, specificato che soprattutto con riferimento al Diario ci fosse anche un intento economico. La realizzazione dell’opera, infatti, troverebbe un suo antefatto nella peste di Marsiglia del 1720 che aveva colpito molto l’immaginario comune, anche in relazione ai fatti del 1665. Lo stesso Defoe potrebbe avere scritto il libro al fine anche di avere un certo riscontro economico dettato anche dall’attualità della tematica. All’autore del presente saggio, tuttavia, piace pensare che l’idea dell’opera nasca proprio con queste lettere che Defoe pubblica più di dieci anni prima.
50 Ivi, p. 911.
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