Intervista a Giulia Pizzolato – Responsabile relazioni CAS/ CPIA

Quando si parla di migranti e di accoglienza, sono purtroppo molte le informazioni non attendibili che circolano in merito, alimentando sospetti, timori e una serie di stereotipi negativi che di certo non aiutano a comprendere la realtà complessa e multiforme dei fenomeni migratori contemporanei, oltre a generare interpretazioni distorte che intasano ormai l’immaginario comune, sostituendosi alla verità dei fatti. Quante volte si è sentito dire che i migranti guadagnano ben trentacinque euro al giorno per stare tutto il tempo a far niente, davanti agli hotel che li ospitano, intrattenendosi con costosi smartophone? Che cosa c’è dietro l’apparenza di questo fotogramma raccontato fino alla nausea?
Nella precedente puntata si è parlato nel dettaglio di un importante e virtuoso tassello del sistema accoglienza, la rete SPRAR. Continuiamo il viaggio nel dedalo delle soluzioni previste per far fronte all’arrivo degli immigrati, in particolare richiedenti asilo e rifugiati, questa volta scoprendo che cosa sono i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) e come funzionano. Ci accompagna in questo percorso di conoscenza la docente Giulia Pizzolato, che si occupa da qualche anno del tutoraggio degli studenti residenti in CAS della sede 1 del CPIA 2 e delle relazioni tra i CAS e la scuola.

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1. Puoi descriverci in breve che cos’è un CAS e a quale utenza si rivolge?
Non starò ad annoiarvi con la storia dei Centri di Accoglienza Straordinaria nel nostro paese e con le ragioni della loro istituzionalizzazione; mi limiterò a dire che tale tipo di centro di accoglienza è stato creato per far fronte all’esigenza di accogliere un considerevole (“straordinario”, appunto) numero di profughi giunti in Italia, numero che non poteva essere assorbito dalla sola rete SPRAR. A differenza di quest’ultima, i CAS sono gestiti dalle Prefetture; inizialmente avevano lo scopo di dare una primissima accoglienza a chi, avendo fatto regolare richiesta di protezione internazionale, era in attesa di essere inserito all’interno del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. Con il passare del tempo il sistema di accoglienza Straordianario si è gradualmente stabilizzato, occupandosi, di fatto, della maggior parte dei richiedenti asilo presenti sul territorio italiano; la nuova legge Salvini ha formalizzato tale andamento: da ottobre 2018 tutti i richiedenti asilo devono essere accolti nei CAS e solo chi è ha ottenuto protezione internazionale può essere ospitato, per 6 mesi, in uno dei centri SPRAR (o, per meglio dire, SIPROIMI).

2. Che cosa comporta per i migranti l’essere ospitati in un CAS? Quali sono i punti di forza e quali invece i limiti o gli aspetti decisamente negativi di queste realtà?
I fondi destinati ai CAS sono esigui – esiguità aggravata dai tagli apportati dalla nuova Legge su Sicurezza e Immigrazione – soprattutto se comparati allo SPRAR. Data la loro “straordinarietà” fondativa, indi la loro precarietà, i CAS mancano di programmaticità, di pianificazione a lungo termine. Quando le misure di accoglienza non hanno lungo respiro, quando sono caratterizzate dalla contingenza, è difficile che siano in grado di analizzare e rispondere alla complessità delle persone. La molteplicità dei servizi offerti dal Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati sono state per forza di cose sfoltite nel sistema prefettizio, offrendo, di fatto, “meno” ai beneficiari. Questo non significa che non esistano cooperative o enti gestori di CAS virtuosi, in grado di mettere in campo idee e risorse; solo che non è sempre così. Sono tutti aspetti che si possono toccare con mano, lavorando nei CPIA, a contatto con studenti e operatori dei CAS: le differenze tra un centro e un altro possono essere rilevanti, così come le condizioni di vita dei loro ospiti.

3. Ci sono casi che hai seguito da vicino e che ti sono rimasti particolarmente impressi?
Gli studenti residenti nei CAS sono stati davvero molti in questi anni, e potermi occupare del loro tutoraggio è stata un’occasione di crescita professionale e umana davvero stimolante. Ça va sans dire che sono moltissime le persone che mi hanno colta impreparata – dal punto di vista emotivo soprattutto, ma anche professionale – dandomi così l’occasione di imparare, di provare a comprendere. Se tuttavia chiudo gli occhi e provo a intercettare dei volti nel flusso rapido di persone che ho incrociato a scuola, metto a fuoco sicuramente la figura di due donne. Si tratta di due studentesse che abitavano in un CAS molto isolato; dopo circa un anno e mezzo di vita lì, in una condizione di forte emarginazione sia spaziale che culturale, linguistica e sociale – di frustrazione – hanno scelto di dare forma al loro processo di stabilizzazione nel nostro paese. Hanno denunciato alla Prefettura le loro condizioni di vita, hanno pagato di tasca loro l’abbonamento dell’autobus, si sono iscritte al CPIA, e hanno fatto la preiscrizione a corsi di formazione professionale che avrebbero frequentato dopo aver ottenuto la licenza media. La loro intraprendenza non è piaciuta a chi le teneva isolate: sono state ostacolate in molti modi, non sempre corretti.
È una storia a lietofine: le due giovani sono riuscite a diplomarsi e a trovare un lavoro; hanno avuto la possibilità di spostarsi in un altro centro di accoglienza, hanno ottenuto protezione internazionale. Soprattutto hanno tracciato una strada per altre, come loro, isolate ed emarginate. Mi piace pensare che possa essere anche questo, l’autodeterminazione.

4. Qual è il futuro dei CAS?
La nuova Legge su immigrazione e sicurezza purtroppo delinea in modo netto quale sarà il futuro dei CAS: saranno luoghi di passaggio, dove sosteranno per poco tempo coloro che, avendo fatto domanda di protezione internazionale, saranno in attesa di una risposta dagli enti competenti. Sembra un futuro poco roseo, in cui i Centri di Accoglienza Straordinaria garantiranno solo pochi, indispensabili, servizi, a coloro che la legge considera ospiti temporanei, pronti a fare le valigie per un altrove sconosciuto. Temo quindi in una loro involuzione, in un ulteriore loro impoverimento. Temo che sarà sempre più difficile per i CPIA collaborare con i Centri di Accoglienza Straordinaria, progettare, guardare lontano; temo che gli studenti residenti nei CAS avranno ancora di più difficoltà a frequentare i luoghi dell’apprendimento, ad avere accesso alla formazione, alla Scuola.

 

(L’intervista è stata rilasciata prima degli accadimenti che hanno portato alla crisi di Governo dell’agosto 2019)