Interviste
INTERVISTA A TIZIANO FRATUS che si cancella da Facebook. Però posso whatsapp-arti?
L’autore: Tiziano Fratus
Chi è?
Tiziano Fratus (Bergamo, 1975) attraversa il paesaggio alla ricerca di alberi monumentali, li censisce, li misura, li fotografa e cerca di valorizzarli. Durante viaggi in Nord-America, Sud-Est Asiatico ed Europa, per promuovere le traduzioni della sua poesia, ha coniato i concetti di Homo Radix/Uomo Radice e alberografia che ha sviluppato in volumi, personali fotografiche e nella rubrica “Il cercatore di alberi” che cura, da tre anni, sul quotidiano torinese «La Stampa». Guida le “Passeggiate per cercatori d’alberi secolari” e disegna itinerari botanici.
Dal 2006 al 2010 ha fondato e diretto il Festival Torino Poesia e le annesse edizioni che hanno pubblicato quaranta titoli di voci contemporanee. Nel luglio 2013 è tornato in California (“Beato lui” -n.d.r.-) per scrivere un lungo reportage dedicato agli alberi più grandi e più annosi del pianeta, “Fra i giganti del Nordamerica”, apparso in otto puntate su «La Stampa». È stato membro del Comitato per il Verde Pubblico del Ministero dell’Ambiente.
Numerose le sue pubblicazioni -poetiche e non poetiche- (“Che appositamente non citerò” -n.d.r.-) che lo hanno portato a scrivere anche per i maggiori editori nazionali.
Vive in Valsangone, dove finisce la pianura e iniziano le montagne.
SS: Ecco, così è come ti potrei presentare io. Facciamo però finta che NiedernGasse non ti conosca e tu non conosca NiedernGasse, cosa diresti per presentarti?
TF: Che sono un uomo che attraversa il paesaggio e scrive libri, alcuni fioriscono in versi, altri in prosa. A parole come scrittore, poeta, fotografo, giornalista preferisco Uomo Radice.
SS: Perché hai deciso di cancellarti dai social network? Lo hai già fatto su Twitter e hai annunciato che presto cancellerai anche il tuo profilo Facebook. Quando capiterà e perché?
TF: Le ragioni sono diverse. Ad esempio perché dopo quindici anni di autopromozione credo sia arrivato il momento di lasciare. Viviamo immersi in questo continuo bisogno di dare prova della nostra presenza, della qualità e della bontà delle nostre intenzioni e delle nostre azioni. I social sono strumenti di comunicazione e condivisione che, per chi ha fatto del proprio pensiero, della propria esperienza una sorta di “mestiere”, rappresentano una piattaforma di ampliamento del pubblico. Ma crea dipendenza. Entra prepotentemente nella nostra vita, la condiziona. E non è più soltanto un divertimento. Così vai dal medico e in sala di aspetto vedi i ragazzi che stanno a chattare sul cellulare. Vai al centro commerciale e se non parlano o non comprano sono attaccati ai social. Nei musei i ragazzi non guardano le opere, i dipinti, le statue, le fotografano. No, basta, voglio riprendere il tempo della vita vera, e vorrei, auspico un ritorno alla magia della lettera di una volta: quando ti dovevi raccogliere, fermare, scrivevi a qualcuno, pensavi, riflettevi, ci dedicavi del tempo e poi chiudevi la busta, applicavi il francobollo, la scelta stessa dell’affrancatura rappresentava un mondo a parte. E spedivi. Dopo giorni sarebbe arrivata a destinazione e a sua volta un’altra lettera sarebbe partita per arrivare a casa tua. Quel tempo fatto di attesa, una dolce attesa, oramai è lettera morta. Non lasceremo dietro nulla di personale, con tutta questa velocità e questa impersonalità digitale. Lo trovo un enorme peccato. Mi sono congedato da Facebook con questa frase: arrivederci nei boschi del mondo, e nel vostro personale continente forestale.
SS: Ci conosciamo da diversi anni e ho sempre apprezzato la tua abnegazione nel mondo culturale, il tuo lavorare a testa bassa fin dagli inizi con la coraggiosa avventura di Torino Poesia, per arrivare ai giorni nostri e a quella bellissima esperienza che tuttora ti vede impegnato e che hai definito “alberografia”. Mi ha infatti sempre colpito una tua affermazione: “Non parlatemi dei monumenti delle vostre città, parlatemi dei loro alberi”. Ecco, cosa fa scaturire, da dove nascono sensazioni e sensibilità simili?
TF: Ho sempre vissuto in una bolla, scissa dal resto degli umani. Fin da bambino ero più interessato a quel che gli occhi e i sensi rintracciavano intorno che alle dinamiche sociali. Hai presente quei bambini che se ne stanno in disparte e non parlano? Ecco, io ero così. Non è cambiato poi molto. Anche se talvolta eccedo nel comportamento opposto. Ma sono rimasto quel bambino che andava a caccia di tritoni da solo, per tutta un’estate. Il resto è una conseguenza dell’istruzione, delle letture, delle foreste che ho appreso ad attraversare. E della disciplina che la scrittura ti insegna.
SS: Non citerò le tantissime pubblicazioni nonostante sia appena uscito un tuo romanzo che parla di alberi e poeti, né le case editrici dalle più piccole alle più grandi che hanno creduto in te. Sarebbe invece tanto interessante sapere se hai la percezione che il tuo scrivere per l’appunto sugli alberi, possa aiutare il risveglio delle coscienze a prendersi più cura di questo pianeta? Voglio dire se hai la sensazione, visto che scrivi ed appari anche su testate nazionali, che la tua scrittura vada oltre gli addetti ai lavori e si avvicini alla mia tanto amata gente comune, (che poi dovrebbe essere quella che compra i libri e i giornali), portando loro un messaggio sociale forte ovvero, l’importanza nel prendersi cura di quanto ci circonda?
TF: Ma sai, ciascuno di noi tenta di fare del proprio meglio. Le mie percezioni sono altalenanti, decisamente montagne-russanti. A volte mi pare che agli altri – ai lettori, ai poeti, agli scrittori, ai giornalisti, agli ambientalisti, ecc – non importi davvero nulla. Zero. Altre volte incontro un abbraccio multiplo e ovviamente questo mi rende felice. Mi scalda. Nonostante la mia orsite avanzata. Ieri sera mi hanno consegnato un premio per tutto il mio percorso editoriale, poesie e prosa insieme, al Festival Cinemambiente. E pochi giorni fa cento persone hanno seguito un incontro al Festival Oltre Le Vette di Belluno, dove praticamente non conoscevo nessuno. La mia vita non si è mai conciliata con le mezze misure. Per quanto riguarda la reale ricaduta del pensiero, credo che dei passi in avanti si stiano facendo, non perché questo o quell’altro scrittore abbiano predicato e scritto, piuttosto è come l’acqua di un fiume, che scorre e riempie gli spazi che prima erano vuoti. Questo sì. Lentamente le idee camminano, germinano. Non c’è nulla di più potente di un’idea quando attecchisce, come si dice in quel bel film, Inception.
SS: A chi intendi rivolgere la tua scrittura, che sia poesia, narrativa, giornalismo?
TF: Non c’è un lettore preferito. A chiunque abbia curiosità, si guardi intorno e indaghi dentro di sé.
SS: Ho chiesto ad alcuni tuoi lettori di utilizzarmi come tramite per poterti rivolgere alcune domande. Eccone una.
Cosa si dovrebbe fare per portare la poesia tra la gente comune, facendola al contempo uscire fuori dalle sue dorate stanze, senza per forza partecipare ai soliti convegni e reading, dove gira e rigira ci sono spesso solo gli addetti ai lavori? Non hai l’impressione che ci si lamenti tanto della poesia che è morta, ma poi si faccia poco per divulgarla?
TF: Come tanti poeti della mia generazione – ma eguali esperienze sono capitate in giro per il mondo da almeno cent’anni – mi sono illuso di fare quel che non era mai stato fatto. Lo si sente ripetere ogni tanto da qualcuno di nuovo. Ebbene, oggi sono convinto che la poesia non debba fare proprio nulla più di quel che ciascuna voce possa fare. Il lettore generico di poesia semplicemente non esiste. In Italia i lettori attenti sono pochi, questa è una condizione inattaccabile, nonostante le opportune e positive aspettative. La gente non vuole la poesia, la gente comune, là fuori, ammesso che esista, deride i poeti e se ne sbatte altamente della poesia. È tutto quel che occorre sapere. Questo non significa rassegnarsi a 5 o 10 o 20 uditori a lettura, ma è anche opportuno iniziare a capire che ogni lettore/uditore è unico, questo è quanto basta per me, oggi. Si fa, al contrario, anche troppo per piacere a coloro che comunque non ci vogliono ascoltare. La narrativa ha un pubblico maggiore della poesia? Sì, tranne i casi che conosciamo, è vero, in Italia come ovunque sul pianeta. Esistono le eccezioni come Mantova e alcuni grandi festival, da Genova Poesia a quel che è stato Parma Poesia. Ma sono appunto eccezioni, zone protette dove anche il poeta può incontrare un vasto pubblico preselezionato, non casuale. Un altro mondo attraversano invece quei poeti che parlano in dialetto e che non di rado guadagnano una credibilità davvero vasta anche fra coloro che non hanno letto o studiato, e che parlano in qualche modo al cuore della gente della loro valle, della loro provincia. O della loro città. Ne ho incontrati non pochi in giro per l’Italia. È rassicurante. E non mi riferisco soltanto a Franco Loi.
SS: Carissimo Tiziano, tu sai quanto ami le periferie, non solo intese come luogo geografico, bensì come luogo in cui la cultura per mille e più fattori fatica ad arrivare, non riuscendo dunque a svolgere quella funzione sociale che a mio avviso dovrebbe avere.
Abbiamo discusso privatamente molte volte sul come e sul senso che potrebbe avere una azione simile. E quasi mai abbiamo trovato un accordo. Proviamoci qui; secondo te ha senso uscire fuori, andare oltre i soliti posti deputati? Insomma, che sia questa l’ora in cui gli artisti e gli scrittori vadano incontro e alla ricerca di un “pubblico nuovo” senza sperare che sia il pubblico ad andare loro incontro?
TF: L’importante è crederci. Non sono così convinto che si possano ottenere risultati che non si riescono ad ottenere altrove. Però tanto teatro, in giro per l’Italia, ha trovato spazio nelle periferie, anche a Torino è successo con Blusuolo, Domenico Castaldo, la danza, e generazioni oramai passate. E’ però un fatto che quell’Italia si è di molto ristretta, e che gli artisti, dopo gli anni giovanili, hanno bisogno di arrivare sui palcoscenici del centro città, nei teatri riconosciuti. Così come noi poeti e scrittori, dopo l’autoproduzione, dopo l’artigianato, dopo l’indipendente duro e puro – ma ci sarebbe da discutere nel merito – prima o poi, necessitiamo di respirare nelle collane degli editori maggiori. Non è un obbligo, ma un auspicio, un riconoscimento del valore di quel che si è fatto con passione e senza misura.
SS: Grazie Tiziano, per la disponibilità e la franchezza. Ovviamente non condivido tutto ciò che hai detto ma darei la vita affinché tu possa esprimere la tua opinione… Come? Qualcuno lo ha già detto? Va beh, posso affermarlo pure io?
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