La gioia dei versi di Mariangela Gualtieri (di Rosa Riggio)

Una foglia cadendo
fa il piccolo tonfo
scuote un poco la stella
e una geometria d’universo
si sbilancia negli assi.

Tutto un tratteggio di rette infinite
un pulsare di gradi angolari
nessuna ala distesa fa a meno
e la caduta non è che un’
algebra infinita che va giù
nella cifra, nel rigo.

Una foglia cadendo fa parte di “Naturale sconosciuto”, la prima delle cinque sezioni di “Bestia di gioia”, raccolta di poesie di Mariangela Gualtieri (Einaudi, 2010). Si tratta di un libro non solo percorso, ma anche percosso dalla gioia. Una felicità vegetale, oltre che animale. L’umanità ha forse risposto a una chiamata e noi non siamo che l’estensione di ciò che manca, che ci portiamo dentro, che ascoltiamo nel silenzio. È nel tacere l’intesa: L’intesa fra tutto ciò che tace. Mariangela Gualtieri scrive una poesia dell’ascolto, del sentire. Ascoltare è vedere. In Una foglia cadendo il “piccolo tonfo” della foglia sbilancia l’universo. Il disegno si scompone un poco, ma si tiene comunque. Gradi, rette formano una geometria infinita, pulsano, sono vita. L’universo è questo?
Il suo infinito cadere risponde ad un’algebra, la cui spiegazione è parziale, ma possibile, se la fine (il fine?) è la cifra, il rigo. Dunque, il verso, la parola. Parola che apre ad una possibilità, credo, sconosciuta alla maggior parte della poesia contemporanea, quella di “un niente più grande” (titolo della seconda sezione), che sembra avere poco a che fare col nulla vuoto di fronte a cui inorridiamo, ammutoliti. La porzione di mondo che viviamo, il qui e ora in cui declina il tempo vanno onorati e accolti, perché non siamo solo / terrestri. Dunque:

Sii dolce con me. Sii gentile.
È breve il tempo che resta. Poi
saremo scie luminosissime.
E quanta nostalgia avremo
dell’umano. Come ora ne
abbiamo dell’infinità.
Ma non avremo le mani. Non potremo
fare carezze con le mani.
E nemmeno guance da sfiorare
leggere.

La nostalgia nella mancanza capovolge l’assenza in gioia, che è ovunque, inesauribile e sorprende: Il mistero della gioia / avvolge la persona che ora scrive. Nella parola è il fuoco, la luce che, lontana, sostiene il mondo, la terra che non cade. Bisogna solo ascoltare, vedere il bianco nella polveriera del cielo, sentire come tutto ciò che non si tiene, tutto ciò che sfugge, rivela: E quel tacere dei morti che non smette. Leggendo Mariangela Gualtieri ho pensato alla poesia di Mario Luzi, che scriveva: Sia grazia essere qui, / nel giusto della vita, / nell’opera del mondo. Sia così.
Scrive Mariangela Gualtieri: Ringraziamo. Ogni tanto. / Sia placido questo nostro esserci – […]. Se la Poesia è ovunque, raccoglierla è la grazia dell’essere poeta, sua la tessitura, il saper contrarre l’infinito e il terrestre. Il monito di Mariangela Gualtieri, quel suo riportarci alla consapevolezza del dono ricevuto è delicato, leggero. Ancora gioia, diffusa, che Conduce a sé e il morire dei corpi non è / che l’entrare fuori misura. Allora quell’algebra può dare un solo risultato, solo Uno: Esiste solo l’uno, solo l’uno esiste / l’uno solamente, senza il due. E quella foglia cadendo nel verso rimane in equilibrio sul bordo dell’infinito. Sì, forse, davvero Il firmamento è il capogiro di Dio.

Rosa Riggio