La vecchia strega di Buccinasco taglia il mazzo. Simone Cattaneo

La vecchia strega di Buccinasco taglia il mazzo, sfarina re, regine, pezzenti, infine emette sentenza. “Te morirai a ventisette anni”. “Ne ho già ventinove” fa lui. “Allora, vedi?, sei un uomo fortunato”.

Simone Cattaneo si alza, paga; ma quel che gli esce di berta sono ragni che dai palazzoni dell’eterna periferia milanese, da tutte le sorgenti d’acqua secche, si sono infilati tra quelle sue dita grimate dal vino, di merda metastorica umide da schifo. “Ma qualche donna?” domanda anmò lui, “dico, una donna che magari…”. “Te la sai la lezione, Simone. L’hai imparata.” Gli risponde la strega. “Quelle che hai amato, non le hai mai incontrate.” “Tutte andate.” Si strazia un sorriso. “Mi ricordo ancora della carne, la loro. Ora son finito che dormo con degli scheletri di pesce.” “I Caraibi son lontani, Simone…”. “Sì, Troppo lontani e io non ho più nessuna voglia: né di andarci né di restare.”

Simone ha sete. Fa un cald bestia. L’estate tropical/padana non ha più la scusa delle toppie di osteria, la quiete accanto ai fòss, l’arcana tiritera del dialett. “La memoria del sangue” dice il Simone “non cicatrizza alcuna ferita”. Già. L’è inscì. Di sangue, da queste parti goticolombarde, ne è rimasto ben poco: ed è grasso di bitume, apericèna, verderame industriale. Dei Lombardi in Rivolta s’è perso il seme. “Arrivano stranieri bramosi di niente” mastica il Simone. Qui vengono per essere come noi, pesg de num. Ed ecco: la porta della stanza d’un botto si apre! “Guarda chi è venuta a trovarti…” Fa la strega. Simone sgrana gli occhi. E’ una ragazza in poppa al suo seno di silicone. Con “un crocefisso appeso nell’elastico alto delle mutandine” balla, stramballa, ficca il pelo sotto il naso del poeta. Il poeta chiude gli occhi, usma, tocca, gli vien di sasso. La sola cosa che in fondo gli conti è a portata di mano. Ma ecco che splaf! T’el là, t’el chì! Nel mentre la mano si allunga, una valanga di carne inonda la stanza. Son Re, regine, pezzenti, di latta, torce di rudo accese la notte. “Ehi voi!” Fa loro il Simone “Albanesi, criminali o calabresi, bruciatela pure questa nuova Milano di Averna e cambiali!”. E, per carità: nessuna visione parametaprospetticaNewCityLife and Coca! Milano l’è quell che l’è, un sorriso scolato al gusto di gin, un campo magnetico che fonde l’umore. “Indossare un cappello con nonchalance e sfilare in un ristorante con un completo di Armani”, ecco quello che ci vorrebbe! Così voglion tutti! “Salute, soldi e belle fighe!” Palestre e discoteche! E io, io…“Sono troppo vecchio anche per questo! Non ho soldi e la botta è finita.”

(???Chiamo l’Elena, la mia amisa poetessa brianzola. “M’è venuta in mente una cosa?” Le dico “Cosa?” “Simone Cattaneo stava a Saronno. Qua e là ha scritto di quello che sta intorno a Milano. Di Solaro, di Buccinasco. E Saronno è nel centro…” “In centro dove?” “L’è lì, nel centro del triangolo de la mòrt! Milano/Monza/Varese…cioè…òstia…Dati ufficiali, scherzi no! Quasi cinquecento morti all’anno!!! Il 5% ogni 100.000 abitanti che si ammazza. La capitale del PIL e dei suicidi in sto cazzo di paese!!!” “Ehe..” “Oh…” “Ah…” “Beh…”)

La vecchia strega ritira le carte, digrigna la dentiera. “Basta!” Urla “E’ un macello! E’ troppo! Perché hai portato tutti sti stronzi qui dentro? Ricevo un cliente per volta, io!” Sa più cosa dire il poeta. Fino a poco tempo addietro scriveva. C’è tutto lì dentro. Ed è tutto finito. Che dire di più? “Non è colpa mia!” Riurla il Simone alla strega. “Oramai sti stronzi mi seguono dappertutto! Dove vado mi vengono dietro! Me ne libero più! Dovrei fare qualcosa, qualcosa! Ma sentire una vecchia canzone alla radio e poi ringiovanire di dieci anni non serve a nulla, è un saldo di fine stagione dieci Tavor da un ml e due litri di vino bianco non fanno più la differenza è solo un vapore che ti assale alle spalle: è un verde chiaro lo sfondo di questo giorno! Ormai l’alba crolla e il cielo si dissangua in feroci miraggi.”

La stanza ormai straborda. (el pirla el canèla el ben el mal t’i chì crepen tucc!). Ci son dentro già in migliaia. Secche le ossa dei bambini del Burkina Faso, polmoni d’acciaio, siderurgico formaggio fuso, malati, appestati, Mercedes, magnaccia, cambiali, lampioni, gin con la menta, denti d’oro strappati, coca e Sviluppo, moltitudini grise, “…Città irreale, sotta la nebbia vuncia d’on alba d’inverna, ona calca de gent la sghiava al metrò de Cadorna, a Corsich, Rogored, a Bustu e Sarònn, inscì tanta, ch’io mai avrei creduto che Morte tanta n’avesse disfatta…disfatta…disfatta…”

“Silentium!!!” Urla a tutti il Simone. “La cosa per me finisce qui! SILENTIUM!!!”

La voce del poeta è un petardo. Riduce la calca al silenzio. Da cui si alza un ometto, gli occhiali montati di un oro dimesso, la marsina inattuale. Con grazia, tetra, si rivolge al Simone. “Te me cognosset no, car fioeu, ma mì cognossi tì.” “Chi sei?” “Il Delio Tessa, ecco chi sono.” “Che vuoi? E’ finita per me…”. “Sì, el soo. Son chì pròppi per quest. Ti vorrei accompagnare…” “Davvero?” “Te non lo sai, ma è tutta la vita che ti sto dietro.” Il poeta gonfia i muscoli, tira il fiato. Ci vuol tutto il fisico di un atleta per uscire di scena così come ha deciso. “Vegn, vegn con mì…” Sussurra il Tessa. “Te foo vedè ona ròba…”. Nel carnaio putrefatto, il poeta si fa strada. Punta il balcone. Ci arriva a fatica. Gli manca il fiato.

“Varda!” Dice il Tessa. “Tutto quello che hai scritto è intorno a te!..”
“Dimmi allora un’ultima cosa, solo una. Poi, giuro che vado fuori dai coglioni…”
“A grann e a raccol tirom a carettà ch’el se impocciacca el mond de prepotent e de cagoni. E adess…poor fioeu…te tocca andà!!!”

(??? “Cazzo Elena, l’han tiraa su col cugiarin! Questo qua, ha fatto un volo di sette piani sette!” “Voleva tutto, aveva niente…” “Ehe…” “Già…” “La linea lombarda…” “E’ finita giù dritta a testa in giù…” “Voglio scriverci qualcosa…” “Cosa?” “Lo so, l’è dura. Evitare le solite cazzate! Saronno, Seregno, Milano, Varese, il PIL, i suicidi…qualcosa di nuovo…poor fioeu” “Ehe…” “Boh…” “Già…”)
Simone Cattaneo (1974-2009 ) t’el quàà.

 

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