L’arcaico respiro del verso. Eugenij Baratynskij

a cura di Davide Zizza

 

[considerazioni sulla lettura del libro, Eugenij Baratynskij, Liriche, a cura di Michele Colucci, Einaudi, 1999]

1.
Viene definito dalla critica letteraria il “Leopardi russo” del Romanticismo, ma con il poeta recanatese condivide solo alcuni fra i temi più rappresentativi della corrente classico-romantica; e come fa tuttavia notare Michele Colucci nella sua curatela delle Liriche, fra Baratynskij e Leopardi vi sono sì convergenze di superficie, eppure nette divergenze di apprendistato intellettuale. C’è un retroterra culturale che li accomuna (sebbene in Baratynskij sia di un livello più epidermico), una riflessione analoga sull’uomo e sulla natura, però nel fondo di questa somiglianza il pensiero filosofico in entrambi i poeti prende un percorso differente e scava in ragioni distinte.
Voce isolata dal contesto di gruppi e appartenenze letterarie, a lui si sono ispirati poeti come Iosif Brodskij e Osip Mandel’štam che hanno rivoluzionato le classiche strutture poetiche, prendendo a modello – in particolare nel caso di Brodskij – la letteratura anglosassone. E se il valore della poesia di Baratynskij ha subìto un oscuramento dovuto alla presenza di un genio coevo quale fu Puškin, è pur vero che l’entrata di Baratynskij nei circoli letterari non fu difficile, anche se in definitiva il nostro poeta russo scelse una dimensione più privata e ritirata e la stessa sua poesia maturò una riflessione tanto pessimistica quanto personale.

2.
La scrittura di Baratynskij tende a voler dare alla parola poetica una dinamica, un impeto. È una poesia che “romba dall’erto dirupo” come un antico torrente desideroso di unirsi allo strepito della bufera, capace di farsi respiro; il poeta attraverso il soffio della parola riflette sulla natura e guarda “una sera di stelle[…] nel silenzio notturno” e questa natura di stelle “risponde allo sguardo/e dolcemente riarde”. Poesia di contemplazione, ma anche poesia di movimento.
Eppure, la tradizione letteraria russa non può dirsi tale se non si interroga sul tema della terra e della patria, e Baratynskij per proiezione di grandezza prende a modello l’antica Roma e la sua decadenza, per cui si domanda se “Davvero, altera Roma, sovrana della terra, davvero vivesti?” e dove siano finiti i prodi dell’“Urbe splendida, patria di valorosi?”; come ogni poeta, lo segue un senso di esilio che lo rende vicino e al tempo stesso l’allontana dalla sua terra, tema che verrà successivamente trattato da Mandel’štam nella poesia Tristia la cui ispirazione corre indietro nel tempo fino a raggiungere Ovidio.
La sua poetica percorre una profondità fino a raggiungere l’antichità classica per cui i Numi gli ispirarono “una sete di gioia” in una ricerca continua di Grazia e Bellezza, cosicché “egli non fu lasciato dall’alata/fuggitiva sua Musa”. E se da una parte possiamo cogliere in Baratynskij i temi fondamentali del suo periodo (“C’è qualcosa in lei che è più bello di bellezza/e non parla ai sensi, ma all’anima”), dall’altra il percorso filosofico si fa radicale e pessimistico senza concedere remissione alle idolatrie della modernità che sotterrano lo spirito e la vera natura dell’essere umano (“non è libero il vento errabondo, una legge/è stata imposta al suo fuggevole spirare”).

3.
Il respiro della parola è il soffio di una forma. La poesia di Baratynskij modella l’immagine vorticosa che si porta dentro: la parola come in un fondale ricerca il suo significato attraverso la visione. In Finlandia, luogo fatto di “graniti millenari” sui suoi picchi “cala senza le tenebre la notte”; in un’altra poesia, nell’impeto della bufera “ribolle e ruggisce l’abisso marino” e rispecchia i sentimenti del poeta per cui “così adesso, oceano, io bramo i tuoi uragani”. Nella parola c’è in definitiva una “responsabilità di immagine” veicolata dal pensiero: la visione è essa stessa pensiero, l’immagine è concetto. Storia arcaica dell’uomo di cui la poesia prende le sembianze.