Recensioni
L’universo in millimetri di Milo De Angelis
“Millimetri” di Milo De Angelis, il Saggiatore, 2013
Il senso non è nel verso, tantomeno nella parola. E, infatti, sarebbe sbagliato parlare di ermetismo. Non si tratta di restringere il campo visivo nella parola evocativa, né di isolare minimi nuclei semantici, o mistiche analogie. L’eco di una risata resterebbe, in beffa ad ogni tentativo di razionalizzare ciò che non appartiene ad alcuna mappa conosciuta. Il mondo si dà nel suo farsi, questo è un dato. Qui, una miriade, ferma, irrelata di associazioni inaudite compie il miracolo di una insignificanza precedente. Un uovo cosmico, non referenziale, dissipa la propria struttura fecondante, in “puro scatto“, in “folle pianta“, in “uomo-sibilo“. Giunge dalla lontananza e dalla morte il fragore di fratelli che sono stati, l’eco della terra, il suono “di te e di noi, di noi soli, creati“. Teoremi, anch’essi nella corrente, in ciò che verrà. Ma non c’è distanza (“un vento che penetra, che / vede…“, “i vestiti / entrano nel corpo“) in questo mondo di metafore apparenti, di “vita rasoterra“. Quale voce, da dove si “inarca”, l’urlo dei morti, in quale millimetro lascia il suo vasto biancore, mescolandosi all’adesso? “E un / cappio di carta / rinasce a più non posso / nella storia / della terra, vasta ripida, / cose e cose, vesti bianche e tarlate, / contadini nascosti / nel frumento. O ancora / più dentro, dovunque urlino / i crisantemi.” Pioggia, soffio, cellula, cosa volete che siano? “cose e cose“, tutte insieme, remote e future, arcaiche e sorgenti, tutte compresenti nella sintassi aperta, illogica, com’è illogica la nostra sorte. Vengano pure “menti colme di luce / con il rombo di un’estrazione a sorte“. Non c’è un solo reale, un “solo adesso“. L’esecuzione è già avvenuta, cosa vogliamo ancora? Polmoni di poeti, poesia, nel dopo, nell’essere contro, nella sete, nella saliva che beve se stessa. Si va, si procede di metro in metro, durante, nel verso che non è più possibile definire tale, piuttosto fiato, “parole di ventriloquo“, in un tutto calmo, reso accettabile nella lettura, dalla lettura, qualcosa che diventa ed è stata. Capire. Cosa? “Il cucchiaio / batte sui segnatempo e un’intera stazione / scruta la sua sala d’aspetto, / finché mezzogiorno si sparge / nel chilometro / intuito dalla scorsa mente.” Intuire, forse. “Se un urlo ha visto / la sua prima sfera“. È fisica e le le leggi sono altre. Sappiamo, ormai, come, scrive Ilya Prigogine ne “La nascita del tempo” (1988), “in un certo senso il tempo preceda l’universo”, il quale è “il risultato di un’instabilità”. Le informazioni che possediamo sul reale, quelle appartenenti alla fisica classica, non sono sufficienti a spiegare tutti i fenomeni. Nella dimensione caotica, nelle turbolenze si possono riconoscere strutture coerenti. In “Millimetri” (1983), la poesia si colloca in una zona latente, che precede l’universo, solo così può dire: “In noi giungerà l’universo / quel silenzio frontale dove eravamo / già stati.“.
Rosa Riggio
Utenti on-line
Ci sono attualmente 22 Users Online