Recensioni
Michele Nigro, Pomeriggi perduti
Scrive Mark Strand: “la morte è il centro focale della poesia lirica. La poesia ci rammenta che viviamo nel tempo”. Morte, tempo. Sono l’impossibile in cui si misura il verso, i non luoghi in cui si fonda lo spazio della poesia. In “Pomeriggi perduti”, di Michele Nigro (Kolibris 2019) esistono come “eredità di parole sparse”, rispondono all’antico dettato che si impone, misterioso, sotto forma, appunto, di “dittatura”. Nigro sa che le parole “usate” e già dette possono essere ancora nuove e farsi canto, non dell’io (“registrare l’universo/ripulendo il segnale dall’io”), ma dei luoghi, della memoria. La poesia è spesso lo spazio in cui si racconta, ma con ritrosia, dicendo dell’attesa o della rinuncia. La bellezza di un verso può essere un antidoto alla vita (alla morte), anche se è ancora oscuro, ciò che conta è il movimento che l’ha generato, il suo essere testimone del fatto che vivere non basta, che la ragione è insufficiente e poco importa se il terreno dell’oscurità (e della verità) sia stato già battuto. D’altronde, “Che te ne fai della verità/se non puoi cantarla?”. Sapendo che “arroccati nel deserto dei Tartari/stiliamo pagine/dedicate al vuoto che/insegna senza dire.”.
Archivio
Conserviamo date, pezzi di spago
scatole di dolci vuote e biglietti
perché anche il dolore
esige una documentata
precisione, resistente al tempo
e all’umana distrazione.
Affinché ogni data diventi spina
per pungerci quando sembreremo
felici,
ogni pezzo di spago
un nodo che ci tenga
legati al passato,
una scatola
vuota della dolcezza che fu
per quando saremo pieni
di false gioie,
e biglietti di sola andata
per l’aldilà.
*
Fuoco eterno
Per mettere fine
a stillicidi di saperi divini
verso memorie eterne,
la Natura
cattiva e giusta
inventò la Morte.
Ma l’uomo
condannato a finire
come tutte le cose finite
scoprì il sacro fuoco
della parola.
Arditi tizzoni ardenti
schizzati dal braciere
di Poesia
ustionarono la pelle
della dimenticanza.
*
Antidoto
Che sarei alla vita
se non avessi
un’intima voce, quella parola
scavata in cerca di
passaggi eterni
come sospiri tra rumori?
Eppure un giorno
sconosciuto realizzerò
d’un colpo la sconfitta
dell’esistere con sembianze
di gesto scellerato e
irreversibile.
Fino ad allora
che l’oscurità del verso
circondi la spietata ragione,
nell’illusione di
lontani sconforti
non in viaggio
verso me.
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