Moderato cantabile, Marguerite Duras

Moderato cantabile, Marguerite Duras
(Voglio che tu mi uccida!)
a cura di Lisa Orlando

  14937450_10202252602793554_8278245391990626011_n  

È a partire dal romanzo “Moderato cantabile” , pubblicato nel 1958, che, in Marguerite Duras, il binomio amore-morte si legherà inestricabilmente. Il romanzo inizia con un omicidio: una lezione di piano impartita al figlio della protagonista, Anne Desbaresdes, viene bruscamente interrotta da forti grida; in un bar vicino, un uomo ha ucciso una donna (la sua amata) e poi, disperato, piangente, si è lasciato cadere sul suo corpo esanime. L’omicidio da subito invade completamente, in modo ossessivo, i pensieri di Anne; il giorno seguente la donna, cieca nelle ragioni, ritorna al bar. Qui, casualmente, incontra un uomo, Chauvin, con il quale comincia a ricostruire le motivazioni di quel delitto.

Nei loro dialoghi, sin dall’inizio, s’insinua l’idea che l’omicidio nasconda, nel suo squarcio brutale, la verticale più alta dell’amore dei due amanti . Seduti al tavolo del bar, i due, lentamente, iniziano a immaginare la storia di quella passione, così folle, così violenta, così assoluta. Là, dove tutto resta taciuto, essi si interrogano su come gli amanti siano potuti arrivati a quel gesto estremo, e fin a condurli all’abisso.

Nella ricostruzione di Anne e Chauvin viene evocato un amore segnato pur dal desiderio della donna di lasciarsi uccidere dal suo amante. Quell’amore diventa, dunque, qualcosa di discorde: quale legame (qui, in terra) desidera la separazione al suo interno? È come se, portato al suo limite, l’amore superasse gli amanti, poiché esso aspira, nella sua vocazione segreta, alla loro assenza.
Ma come giunge l’uomo a desiderare di uccidere colei che ama? Nella storia di Anne e Chauvin, l’uomo compie un percorso che ha, al suo inizio, la paura, paura originata dalla natura contraddittoria del loro amore. Nell’immaginaria ricomposizione, l’uomo, a un certo punto, caccia via l’amata, l’allontana brutalmente da sé; tuttavia, in tal modo, tutto ricomincia; nell’ardore senza calcolo: un desiderio ancor più folle. L’uomo la allontana, l’uomo la richiama a sé, e lei si conduce servile al suo destino: obbedisce, t o t a l m e n t e! (Ormai perduto) l’amante penetra nel fondo del desiderio di lei: la donna sì si sottomette alla volontà dell’amato, ma dopo aver resa quest’ultima contrastata. Rivelando il desiderio d’esser uccisa, lei invoca la violenza di lui perché diventi, al fine, desiderio, puro!

Pertanto, in “Moderato cantabile” l’amore non conduce unicamente al desiderio di uccidere, ma anche a quello di farsi uccidere. La donna anela a morire nell’amore; la donna anela a che questo amore la conduca fuori di sé così radicalmente da non esistere più. Fuori di sé, ma verso dove? Non certamente verso una fusione con l’amato, ma verso qualcos’altro, a cui solo la morte darebbe accesso.
Anne e Chauvin desistono alla possibilità di definire questo qualcos’altro; (sradicato dal dicibile), il desiderio di morire custodisce le sue ragioni in un silenzio di totale impenetrabilità. Da qui emerge una peculiarità altra di questa unione: gli amanti aspirano a condividere l’anelito di morte. Il punto destinale di questo percorso è quello di arrivare al punto in cui lui dovrebbe desiderare di uccidere la donna e compiere questo gesto quale segno di assoluto amore. E l’uomo raggiunge tale desiderio nell’esatto momento in cui lei (come entrata nel buio) gli appare totalmente estranea; in una carne vergine: indefinibile, irraggiungibile.

A partire da questa prospettiva, l’amore dei due amanti è una relazione all’interno della quale un “io” diviene testimone dell’assoluta alterità dell’altro; e dove non può esservi più speranza, né attesa, né vigilia di un “io” per un “tu”. L’apertura verso l’altro, che è l’amore, in “Moderato cantabile” si spinge, dunque, fino al suo limite estremo: ovvero fino alla rivelazione della radicale alterità dell’altro e della sua irriducibile separazione.

Il desiderio si trova così dinanzi a un vuoto, a qualcosa di non nato ancora, e che non può essere ulteriormente spiegato. Il desiderio di chiudere gli occhi, al di là della vita, è allora per il raggiungimento di un amore senza più oggetto? è per la conquista di un amore assolutamente puro?

[A questo punto chiederei a Marguerite (Duras): “Perché aver portato al limite estremo l’amore dei due amanti, e fino all’espressione (a voce alta) del desiderio di lei: “Voglio che tu mi uccida” e, tuttavia, averlo fermato lì; meglio: perché non aver permesso agli amanti quel passo indietro affinché la donna avrebbe (pur) potuto esprimere il desiderio contrario: “Voglio che tu non mi uccida”. Ché negli amanti v’è la coesistenza di entrambi i desideri. Dunque, per quale ragione si arriva a desiderare solo (!) l’amore l’assoluto?

È perché attraverso l’amore (spinto al suo estremo) si desidera, in realtà, nient’altro che la sospensione del tempo?, la morte? Quando hai scritto “Moderato cantabile”, tu, Marguerite (per una disperazione latente?), desideravi, in fondo, solo non esistere più?” ]