Oronzo Liuzzi, Lettera dal mare, Oèdipus 2018

a cura di Francesco Aprile 

Oronzo Liuzzi è nato a Fasano nel 1949, vive e lavora a Corato. Laureatosi in Filosofia Estetica presso l’Università di Bari, è autore prolifico che spazia in un alveo di linguaggi che qui possiamo considerare a partire dalla poesia. Difatti Liuzzi è prima di tutto poeta, ma fin dagli esordi – come già sottolineato da Franco Lisi sulle pagine di Il Sud Est nel recensire il volume “Una nuova storia d’amore” (Edizioni Tracce) – ha sentito l’urgenza di confrontarsi con linguaggi miscellanei, guardando all’unione della parola poetica con le criticità sociali e diversi orientamenti visivi. In questo senso l’autore spazia dalla poesia alla poesia visiva, dalla parola a stampa al libro oggetto e libro d’artista, dall’installazione alla performance.

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Il suo ultimo libro, “Lettera dal mare”, uscito nel mese di ottobre 2018 per le edizioni Oèdipus, si pone come perfetta testimonianza di una pratica autorale collaudata; di fatto Liuzzi percorre nell’opera poetica la tensione letteraria e quella performativa in un testo il cui tasso di drammaticità si pone come racconto in presa diretta del nostro tempo. Il titolo, che vuole evocare le tragedie che da alcuni anni sono sempre più frequenti nel Mediterraneo, è il biglietto da visita di un testo la cui forma mostra solo all’apparenza la dimensione della prosa, ma che nei fatti è tenuto insieme da un fitto armamentario poetico. L’autore, non nuovo a questo tipo di operazioni, dona voce al dramma di un migrante al quale è affidato il racconto poetico del nostro tempo. La traversata del mare è espressa nella forma di un urlo: “siamo urla mio fratello” scrive l’autore a pagina 39, in chiusura di un frammento che, come il resto del libro, trova nella prosa soltanto l’escamotage ottico per portare su carta il vibrato di una oralità disperata, urlata tutta d’un fiato, dall’inizio alla fine, senza punteggiatu-ra, formando nel libro un flusso orale che è pensiero e, ancora, flusso di mare, viaggio, traversata. La tenuta formale è giocata tutta sull’insistenza di un flusso ritmico-sonoro che trova nelle costanti allitterazioni la sua condizione orale che è, prima di tutto, fisica. Questa fisicità, tipica dell’emissione di fiato, è però l’asfissiante presa di coscienza di un uomo davanti alla disumanità dell’uomo. Il testo è stratificato, è denso corpo sonoro, è gesto che ancora una volta parla, in via secondaria, delle diverse pratiche dell’autore: poesia visiva e performance su tutte, le quali rendono conto della tensione gestuale implicita al lavoro poetico. Tale tensione, però, alla luce di questo nuovo libro, si mostra figlia soprattutto delle criticità sociali: il gesto estremo di un migrante che cerca il contatto umano, la salvezza. Un testo, dunque, che mostra i nervi scoperti di una società che sempre più nega il contatto, in quanto troppo impegnata a controllare, a tenere a distanza attraverso l’uso massiccio della tecnologia. In epoca di smaterializzazione, Liuzzi propone una poetica “fisica” che ha nel fiato, per la poesia, e nella materialità dello scrivere, per la poesia visiva e la performance, gli elementi principali. Il testo, attraversato da citazioni costanti, recupera e tiene viva un’altra delle caratteristi-che poetiche dell’autore, da anni impegnato in una scrittura “polifonica”, plurale, a più voci. Molte delle citazioni provengono dal mondo della musica, da brani di Camisasca, Fossati, Battiato, a ribadire l’estrema oralità e musicalità del lavoro: “ha una connessione diretta con il canto mio fratello” (Liuzzi, p. 20). Il racconto del dramma procede nell’avvicendarsi nel testo di corpi affastellati nella notte, “ forse ci sarà anche per noi un altro giorno si domandano quei corpi mentre riempiono di paura la notte” (p. 36), e una quantità di flussi sonori tale da rappresentare la totalità del volume laddove il suono si dà come movimento di parole, del mare, del viaggio, della tra-versata e, in definitiva, nell’assenza di punteggiatura richiama la condizione di apertura che le criticità sociali oggi reclama-no all’esistenza, chiedendo di ritrovarla.

Oronzo Liuzzi, Lettera dal mare, Oèdipus 2018
Estratti

corpi asciutti aspettano stremati vestiti a lutto non piangono hanno sguardi inquieti paralizzati puniti dalla cattiva sorte tutto sembra impossibile e il viaggio di fuoco risuona nelle orecchie di quei corpi sprofondati nel fossato del nulla in quei corpi che sobbalzano nell’aria assente e indifferente corpi so-spesi tra il cielo e la terra domani forse ci sarà anche per noi un altro giorno si domandano quei corpi mentre riempiono di paura la notte

tutto è permesso allo squallore per crepare

ha una connessione diretta con l’energia umana mio fratello con il gioco scintillante dell’orizzonte del mare con la brusca voce del vento con il caldo con le mosche con il sudore con l’odore di sterco e continua a sognare mio fratello dentro una mente vigile straniero nel regno di miseria lontano dal cielo di casa sotto gli sguardi diffidenti della milizia dal vento umido e puzzolente ha una connessione diretta con il canto mio fratello nomadi che cercano gli angoli della tranquillità nelle nebbie del nord e nei tumulti delle civiltà tra i chiari scuri e la monotonia dei giorni che passano camminatore che vai cercando la pace al crepuscolo la troverai alla fine della strada e me ne andrò dalle città nell’attesa del risveglio i viandanti vanno in cerca di ospitalità nei villaggi e nei bassifondi dell’immensità e si addormentano sopra i guanciali della terra forestiero che cerchi la dimensione insondabile

  1. Testo citato da: Nomadi di Juri Camisasca