Osip Mandel’štam, o del riconoscimento

a cura di Davide Zizza

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[Una lettura tratta dalla curatela di Remo Faccani, in Osip Mandel’štam Ottanta poesie, Einaudi]

“[…] è la poesia di colui che sa di parlare sotto l’angolo di incidenza della sua propria esistenza”
Paul Celan
 

“La letteratura è un dizionario, un compendio di significati per questo o quel destino umano, per questa o quella esperienza”

Iosif Brodskij

 

Leggo Mandel’štam, sotto le note di Rachmaninov; e sull’ascolto di Rachmaninov, leggo sempre Mandel’štam. Hanno dello straordinario in comune; il poeta russo scrive componendo uno spartito e il compositore nella sua musica da concerto crea poesia senza parole. Evocazione indotta dal fascino del binomio poetica e musicalità.

È radicato da diversi secoli – e con plenaria legittimazione – il connubio secondo cui poesia e musica intrecciano una relazione, una parentela, un flirt, per cui nel viaggio geo-poetico e sentimentale in una o qualche epoca o nel luogo mentale di grandi autori, poesia e musica si scambiano consenzienti gli sguardi e gli abiti.
Nei versi di Mandel’štam, in tal direzione, si connatura la descrizione di un mondo, di una visione – architettonica fino all’acme – con una sua perfezione interna di chiarezza e significato. L’impressione che si disegna durante la lettura è concertistica: sentiamo un ensemble classico, una philarmonica di parole da cui giungono echi di una San Pietroburgo innevata, di una Parigi illuminata e vivace, ma anche di un tentativo di ricongiunzione ad un’armonia interiore e ‘paesaggistica’ con l’esistenza.
“Amo la vita, la fede e l’amore. Voi comprenderete dunque la mia passione per la musica della vita, che ho scoperto in alcuni poeti francesi, e per Brjusov tra i poeti russi. […] Qui conduco una vita molto solitaria e non mi occupo quasi di nient’altro che di poesia e di musica.” (lettera parigina a Vladimir Gippius di cui ci informa Faccani nella sua cura alla raccolta). Lo sviluppo di un’attenzione melodica – consonanza rintracciabile nella proverbiale affermazione di Verlaine “de la musique avant tout chose” – non è comunque estranea a contenuti di posizione etica, e.g. in opposizione al regime testimoniata dalla declamazione satirica del suo Epigramma a Stalin del 1933.
Riconoscimento si potrebbe definire la sua scrittura: quella del nostro è una poetica del riconoscimento, in quanto attua un’identificazione della realtà contestualizzata in un’analisi profonda a livello linguistico. La parola coincide con la sua verità.
Nella musica di Mandel’štam c’è il riconoscimento del silenzio. Come sentire il silenzio? La caduta di un frutto per es. ‘accade’ sordamente “tra l’incessante melodia del bosco”; la poesia stessa è un silentium perché “dal suo mare non è ancora nata”. Quindi, riconoscendo al silenzio un rumore o un suono primordiale prima che diventi parola, l’orecchio dell’autore “tende l’udito una vela sensibile” (in accordo sopravviene alla memoria Sento cadere qualcosa, una raccolta di versi di Natan Zach che confermano l’eloquenza dell’ascolto ad una pre-parola).
È anche riconoscimento del dolore in un silenzio obbligato per cui “benché morto e rimorto, debbo vivere”, e nonostante il regime possa togliere “i mari, la rincorsa, lo slancio/e dando al piede il sostegno di una terra forzata” ha scoperto “Un principio sagace:/che il moto delle labbra non può venir sottratto.” e che quindi la voce espande il suo messaggio sulle ali del suono.
Altro tema del riconoscimento è l’esilio della parola (conseguente all’esilio forzato), perché essa ricerca sempre il luogo della pagina bianca in cui tenta di estendersi per stabilire uno spazio di senso; esilio descritto con commozione introspettiva nella poesia Tristia – tradotta magistralmente in inglese da un altro grande quale fu Brodskij, amico del nostro – in cui Osip evoca la notte della dipartita di Ovidio e il viaggio in Oriente di Tibullo (Delia gli corre incontro per abbracciarlo). Proprio Brodskij rende in eloquente inglese la consistente struttura dei versi russi, in cui se è vero che si afferma “quanto è povera la lingua della gioia” (“how poor the language of our joy indeed”) “tuttavia ci è dolce il riconoscimento” (“Yet, recognition is intensely sweet!”).
L’estetica trasparente di Mandel’štam supera il tempo e ne raggiunge il cuore. Paul Celan in una nota introduttiva ad una edizione tedesca delle poesie mandel’štamiane di cui egli fu appassionato estimatore scrisse: “Per Osip Mandel’štam, la poesia è il luogo dove ciò che può essere percepito e raggiunto mediante la lingua si raccoglie attorno a quel centro da cui esso ricava forma e verità.”
L’arresto del poeta e la sua deportazione a Vladivostok confermano non solo un doloroso e fatale distacco, ma anche la separazione sofferta (“the craft of separation”) dalla magia di una partitura poetica, dall’immagine concertistica della vita. Di questo esilio rimane tuttavia forte e persistente il ticchettio ritmico ed etico della tastiera, in quanto “la sonatina della macchina da scrivere non è che l’ombra di una musica potente.”
La poesia nella sua temeraria audacia si riconferma veicolo estetico e strumento urgente per ridefinire e riordinare la realtà. Fa eco l’insegnamento di Brodskij: “L’estetica è la madre dell’etica”.

 

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ulteriore approfondimento nella rubrica ut tensioOsip Mandel’štam