Padre che mio sei benedetto di Daìta Martinez

 

padre che mio sei benedetto dall’aurora
sopra la rosa rosa del giardino schiudi la
paura dalla pioggia che qui dentro piove
nel guscio la rondine sul fianco poggiata

che d’amore s’apre a me il cuore custode
di te raccolto fiore stretto nel silenzio dei
piccoli attimi esatti di tempo invalicabile
tempo quando a leggerlo intero si scopre

e ancora per intero l’aria nell’ora muove
la siepe del ricordo dal canto inondato di
una fragile soglia poi spoglia sul silenzio
del pane il quotidiano stormire nasconde

bianca e vuota la sedia in cucina sfiorata
la brocca appena nel tatto dell’assenza il
dorso lieve dell’innocenza alberata sulla
mano come il dondolo che breve tiene te

padre che mio sei benedetto dall’aurora
sopra la rosa rosa del giardino schiudi la
paura dalla resina che il sonno annotta e
d’eterno alle braccia scende per sogno la

promessa mentre di attesa sia carezza un
gesto dal viso che chiaro adesso indosso
il tuo sorriso a me sfuggito prima di tutti
i giorni non compresi per impreciso mio

bisogno di vuoto rimesso al vuoto stesso
e nessuno spazio ammesso ché sbaglio fa
l’abbaglio come rifugio mio sacro pianto
il disagio che il ritmo preda al centro del

mattino cosicché è imprevisto il raggio a
sorgere la figlia narrata nello stupore del
discorso mai detto a te introvabile amato
uomo che d’ogni me già sai la ferita vita

Daìta Martinez, da nell’ora dell’aurora (peQuod 2023)
Immagine: Dominique Fortin