PICCOLE RIVOLUZIONI PER DONNE RIBELLI E SPECCHI ROTTI

28176312_10216107022177973_390685563_n

 

L’altro giorno mi sono imbattuta in un articolo la cui lettura, devo confessarlo, mi ha provocato una briciola di sconcerto, intanto che il pensiero prendeva a vagare avanti e indietro tra la mole di ricordi targati “corpo e altri demoni”. Per appuntarsi infine su una cicatrice ormai datata e quasi invisibile, che attraversa in verticale la mia caviglia destra: mi è venuto in mente il sangue nella doccia che zampillava felice e il colpo di bruciore intenso il giorno dopo quando, con un bel cimelio di crosta, sono entrata in mare. All’epoca della mia gioventù, consumata tutta nel secolo scorso, non è che fosse così consueto andare dall’estetista: noi ragazze dei primi anni Novanta viaggiavamo in branchi organizzati di tutto punto con improbabili consigli pronti all’uso da dispensarci a vicenda, creme depilatorie, creme decoloranti e rasoi ereditati da Rettore, che nel decennio precedente cantava voglio una lametta per tagliarmi le vene. Noi no, le vene no, ma ci tagliuzzavamo accidentalmente, nella concitazione dei preparativi pre spiaggia/piscina/uscita col fidanzatino di turno  – ché non si sa mai -, gambe inguine ascelle, e qualcuna tra le più fanatiche anche le braccia, tentando (invano) di debellare la naturale peluria che, chi più chi meno, ci portavamo addosso con una certa vergogna. Lisce e depilate, santo cielo, è così che le donne devono essere perché gli uomini possano accarezzarle con più gusto (il loro, ovvio). Almeno fino a qualche tempo fa era questo il messaggio che ci si tramandava silenziosamente di femmina in femmina. Da qualche anno a questa parte, però, pare ci sia stata un’inversione di tendenza, almeno così afferma l’articolo in questione, seppur parallela alle pratiche depilatorie sempre più innovative che levati, pelo, levati proprio per sempre (vedi laser), non hai più speranza di sopravvivere (e anche i maschietti ne sono stati conquistati, è giusto dirlo). Un ritorno ai ruspanti anni Settanta, quando le donne avevano peli ovunque, copiosi boschetti irreverenti imperlati di sudore che facevano capolino negli angoli più in vista e anche dove non batte mai il sole, selvaggi e fieri. Dopo una lunga riflessione, durata diversi lustri, questo scorcio di secolo ben avviato vede molte donne, anche giovanissime, dichiarare guerra al diktat glabre è belle, ribellandosi a un concetto di avvenenza decodificato in una serie di caratteristiche imprescindibili, senza le quali, fino all’altro ieri, era impensabile guadagnarsi la medaglietta al valore “femminile e attraente”. Sulla scia di questa presa di coscienza, è successo che anche le potenti divinità contemporanee, note attrici e cantanti, andassero via via esponendo con orgoglio ascelle spruzzate di una peluria discreta, ordinata, ma ben evidente. Perché basta! bisogna accertarsi così come si è, non piegarsi a un ideale femminino cucitoci addosso per soddisfare le fantasie dell’altro sesso. Amen.

Il mio sconcerto è nato dal fatto che di fronte alle foto di queste bellezze pelose, pur condividendo senza dubbi e con tanto di applauso il movente, ho provato un senso di disagio pazzesco: mai e poi mai, mi sono detta, io con quei peli orribili! In specie se qualche spettatore si trovi al mio cospetto, o peggio ancora debba interagire con me in una situazione vagamente erotica. Perché? Perché non riesco a liberarmi di questi condizionamenti? Mentre andavo ripetendomi questa domanda tipo mantra, ho visto scorrere al rallentatore anni e anni di pratiche impegnative, faticose, costose e pure dolorose per addomesticare il mio corpo e renderlo piacevole (?) al mio sguardo e allo sguardo dell’altro, anni di lamette affilate, di rasoi elettrici potapelo, di cerette alla colla moschicida, di pellegrinaggi dall’estetista nella sua cabina delle torture, di creme spalmate con religioso fervore, di pinzette armate, di guanti stile pagliuzza per pentole – ché lo scrub è la base mia cara per essere di seta -, di impiastri anticellulite antismagliature antiricrescita rassodanti idratanti fuffolanti, e come non aprire una parentesi intima sulla variazione di acconciatura che a ogni cambio di stagione e di uomo è toccata in sorte al povero pube, perché c’è chi lo preferisce incolto e spumeggiante, chi calvo e infantile, chi per carità non a striscetta rettangolare che ricorda i baffi di Hitler, chi non rasato che poi la ricrescita punge… insomma, anni e anni impegnati a essere all’altezza di un modello estetico mutevole capriccioso relativo e fondamentalmente irraggiungibile. Perché?

A tutt’oggi sfuggo le risposte che mi aspettano al varco, in assetto di guerra, pronte a mettermi davanti a uno specchio che guarda oltre la mia pelle di pesca (appassita) per scovare il nocciolo delle mie paure. Ma si sa, certe verità corrono veloci e ti stanno alle calcagna, non puoi seminarle facilmente. Il fine di tutto è piacere, suscitare approvazione, osservare lo sguardo altrui compiaciuto e desiderante: la gabbia costruita intorno al corpo e al suo spettacolo malinconico, mentre si piega all’inclinazione culturale coeva e nasconde la sua natura, per un misero pugnetto di gratificazioni qualunque. Ma io sogno piccole rivoluzioni per donne ribelli (e anche per me stessa), peli rifioriti e specchi rotti, e l’allegria di sentirsi a casa dentro un bozzolo di carne imperfetto: sarebbe bello, certo, più di ogni altra bellezza posticcia e transitoria, se solo se.

Margherita M.