Recensioni
Poesia è straniata geometria (di Rosa Riggio)
Poesia è straniata geometria (di Rosa Riggio)
“Datura“, di Patrizia Cavalli
Einaudi, 2013
Esultare alla vista del cielo azzurro, con innocenza, immaginando che il vuoto possa essere un luogo in cui stare, forse, comodamente? Circumnavigare, in rettilinei versi, sostando appena prima l’ultimo gradino, perché “andando dritti si va da qualche parte, / andare dritti dunque non conviene.”?
Vita immaginata, vita domestica, sogno, noia, stupore di fronte alle “folte trasparenze“, ai fiori (“un’invenzione di geometrie straniate“) si accumulano e si sciolgono in “Datura“. La poesia concentrica di Patrizia Cavalli è “gioia fiera” del vedere, al di là delle cause e degli effetti, quanto può rivelare la lingua. Qui si gioca tutta la partita, dentro il ritmo che batte le sue pause, tenendo fermo il passo mentre va; tutta mentale e fisica, si gioca nella ribellione, nel rovesciare ciò che sembra stare, nello sbaragliare le attese consuete. Nella lingua-parola, ciò che non ti aspetti accade. Con apparente noncuranza, come chi, con sorpresa, riconosce che la gravità è separazione, non unione. Via le difese, via la chiusura, la troppo seria rinuncia. Patrizia Cavalli dice “no” e gioca, “perché se presto io qui non faccio qualche pazzia impazzisco“. Allora, bisogna accogliere “l’angelo labiale”, l’unico che renda liberi, l’unica unione possibile per la nostra “erratica sostanza“, perché “mettere insieme è il gioco dell’umano“.
La regia è anche teatrale. All’interno della raccolta è compreso un atto unico in tre scene: “Tre risvegli”. L'”Innamorata” invoca un dio “che non ascolta e non soccorre / e non si mostra mai anche se parla.” È un dio inerte, che ripete se stesso. In fondo, è conformista, cieco, occupato com’è a “far durar la specie“. “Messaggero” e “Coro dei sintomi”, gli altri due personaggi, misurano l’Alta e la Bassa pressione dell’amore. Ecco, il teatro è l’infanzia, invocata in soccorso, insieme agli dei, a Pallade Atena, ad Afrodite che, però, “si tengono alla larga“. Patrizia Cavalli mette in scena la pluralità, la Trama e l’Ordito (in “Tessere è umano”); gli umori diventano figure, rilevazioni meteorologiche, ironiche. Anche quando parla d’amore, sta dicendo altro: “Ma anche l’amore è fatto di parole / e le parole soccorrono il giudizio, / basta cambiarle e cambia l’indirizzo.”
La poeta indaga, domanda, non accetta di lasciare tutto com’è. Non c’è scampo, si procede spaesati, esposti all’agguato delle “meteore”, nostalgici, commossi, ostinati, sapendo che la bellezza, quel colore, dipendono dal poeta: “questa è la gioia fiera del mio compito, / qui è il mio valore. Io valgo più del fiore.”
L’oggetto, l’origine, è scomparso: “E come il suo sparire / perfeziona la forma del congegno, e con quale prontezza questo si rivela“. Allora al poeta tocca un compito alto, una nuova responsabilità, quello di immaginare il reale. Porsi di fronte ad un fiore, una datura (fiore allucinogeno), per esempio, e restituirgli ciò che non sa. Restituirlo a noi stessi. È la lezione di Heidegger: L’essere è essere-linguaggio. E il linguaggio poetico è linguaggio dell’eccedenza, del sogno, l’unico luogo in cui lo “sparire” è forma perfetta dell’essere, così come il sognare è forma perfetta del reale.
O sogno vero, più vero del mio giorno,
come morbidamente io mi accomodavo
dentro il cedevole incavo del tuo collo
che in morbidezza offrendosi trovava
me pronta a trasfondermi in quel sogno
più vero di ogni mio più vero giorno!
Ma eravamo troppo perfettamente
in due, non posso aver fatto tutto io
da sola! È chiaro, sei tu che hai organizzato,
tu che per farti sognare mi hai sognato.
Rosa Riggio
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